Eccetera

ec-cè-te-ra

Significato E così via, e via dicendo, alla fine di un elenco o di una descrizione per indicare qualcosa di affine a quel che precede

Etimologia voce dotta recuperata dall’espressione latina et cetera ‘e le altre cose’; cetera è ‘le altre cose’, da ceterus ‘restante, rimanente’.

Siamo davanti a un altro magnifico dinosauro che, appena un po’ adattato, dopo migliaia di anni muove ancora sereno i suoi passi nei nostri discorsi — chiudendoli, troncando con grazia (e in tutto il mondo) elencazioni che sarebbero esagerate.

Nasce dall’espressione latina et cetera, espressione impressionante come tutte le espressioni latine, ma che letteralmente vuol dire semplicemente e altro, e il resto. Alcuni chiosano che si tratta di una traduzione del greco kaì tà loipá, mentre altri, senza sorprenderci, notano che nel latino medievale fosse molto usata negli atti giuridici, notarili, amministrativi.

Sul modo in cui scriverlo, abbreviarlo e pronunciarlo si incrociano pratiche differenti. Per esteso l’et cetera si è trasformato in eccetera, che però spesso, specie nel parlato, viene ulteriormente smussato e sveltito in un eccetra. Il che non è strano, specie vista la consuetudine sempre minore con il cetera latino, che è un richiamo sempre meno significativo: indica il rimanente, l’altro, e lo fa attraverso una derivazione dall’elemento protoitalico ricostruito etero (che conosciamo benissimo), col prefisso di una particella ce- che descrive un ‘qui’. Insomma, il ceterus è un modo di indicare che qui c’è altro, che qui resta altro — bello come una statua neolitica.

Facendosi suonare all’orecchio o balzare all’occhio l’etero contenuto nell’eccetera è più facile conservarlo in questa forma. Peraltro per l’abbreviazione si contendono il campo invece una variante più fedele all’originale latino, etc., e una adattata, ecc., entrambe ugualmente accettate — anche se l’etc. s’intona meglio alle grandi occasioni, specie a quelle un po’ parruccone.

L’uso è trasparente e interessante: l’eccetera, anche ripetuto per enfasi, interviene come formula di chiusura di un elenco esemplificativo, incompleto. Ma si deve fare attenzione al fatto che, come la sua origine testimonia, è poco discorsivo: è una chiusura un po’ burocratica, teorica, compilativa. Non lo uso snocciolando le alternative per la cena di stasera («Abbiamo un quintale di porri, possiamo fare la vellutata, il risotto, la frittata, ecc.»), non lo uso per dire chi c’era alla festa («C’erano Giulio, Maria, Lorenzo, Donatella, ecc.»).

Lo uso per esemplificare operativamente classi inanimate o astratte, o seguiti ovvi, o coprirne di sconvenienti: «Ci servono oggetti di rame, come tubi, padelle, vasi, ecc.», «Si accettano opere di ogni genere, horror, noir, romantico, storico, ecc.», «È il modulo che comincia con Io sottoscritto, ecc.» «Nel messaggio mi avevi scritto: ti vorrei fare eccetera eccetera e ci vediamo stasera». Spesso gli sono da preferire alternative più discorsive, come e così via, e via dicendo. Corredarlo di puntini di sospensione (ecc…) significa svuotarlo: ci pensa già lui a sospendere.

Resta comunque un segno di potere, cifra di un pensiero che domina le categorie, induzioni, deduzioni e prosecuzioni. Non è caloroso, può avere un che di cancellierale, ma sa stare in ogni discorso.

Parola pubblicata il 23 Novembre 2020