Gonfalone

gon-fa-ló-ne

Significato Vessillo; stendardo di enti locali

Etimologia attraverso l’antico francese gonfanon, dall’ipotetica voce francone gundfano .

Capita spesso: c’è un vecchio termine che indica un oggetto usato e celebrato in tempi andati. Questo termine, carismatico e suggestivo, via via viene caricato nell’uso linguistico da una chioma di significati figurati, i quali finiscono per restare comuni anche quando l’oggetto cade in desuetudine. Decorso normale. Ebbene, questo è esattamente il caso contrario. Se praticamente tutti i significati figurati che erano scaturiti dal nome del gonfalone sono seccati, il gonfalone-vessillo ha continuato ad essere indispensabile anche nella vita cerimoniale degli enti locali di questa nostra Repubblica.

Il suo nome ha un’origine germanica, ma arriva a noi facendo tappa nel francese. In particolare, nell’antico francese troviamo il termine gonfalon, una variante dell’originale gonfanon (dissimilata, si dice, in quanto le due consonanti uguali n-n, sono state appunto dissimilate in l-n). Questo è pacificamente ricondotto alla voce fràncone (ipotetica, ricostruita) gundfano — quella fràncone è una famiglia di dialetti germanici occidentali, non troppo lontani dal moderno olandese, e per intenderci era un genere di lingua parlata dai Franchi di Carlo Magno. E ‘sto gundfano (eccoci arrivati) era una bandiera di guerra (anche in tedesco die Fahne è la bandiera): infatti secondo alcuni il nostro gonfalone si è affermato nell’uso per via bellica, anche se è assurto ai più alti onori come simbolo municipale.

Un vessillo rettangolare, sorretto e tenuto disteso in alto da un’asta orizzontale (montata su una verticale), che reca i simboli della città, dell’istituzione o del gruppo sociale che rappresenta (milizia, corporazione, confraternita e via dicendo). Il gonfalone, dall’età comunale del nostro medioevo, primeggia negli assembramenti ufficiali di queste persone, simbolo e dichiarazione di appartenenza, di valore, di identità.

Si capisce che l’invito all’uso figurato è forte: se affermo di portare il gonfalone dei delusi d’amore, intendo che mi sento il primo e più rappresentativo della categoria nella mia storia e nei miei sentimenti, mentre se ammetto d’esser venuto sotto il gonfalone dell’insalata mista a cena, presento un’adesione che ha il sapore di una conversione laica, una partecipazione sociale.

Si tratta comunque di usi recessivi: infatti il gonfalone, per quanto formalmente conservato e anzi ordinato e sistematizzato, non pare più essere quello stendardo che ai tempi muoveva e raccoglieva gli animi. I più disillusi potrebbero dire che il gonfalone, dapprima espressione autentica e schietta della cittadinanza, è stato digerito dalla burocrazia degli enti locali. E forse è per questo che non ci trasmette più il prurito di usi figurati — e a poco valgono alla sua forza l’assonanza col ‘gonfio’ e l’apparente suffisso accrescitivo ‘-one’.

Parola pubblicata il 05 Gennaio 2020