Isolitudine
i-so-li-tù-di-ne
Significato Condizione esistenziale propria di chi vive o è cresciuto in un’isola, in senso letterale o più raramente metaforico
Etimologia incrocio di ‘isola’ e ‘solitudine’, derivate dalle parole latine ìnsula (di etimo incerto) e solitudinem (voce dotta, derivata di solus, ‘solo’). Il termine è coniato da Gesualdo Bufalino in “Isola nuda” (1988).
Parola pubblicata il 19 Aprile 2021
Parole d'autore - con Lucia Masetti
La lingua cresce con la letteratura – e noi abbiamo un bel mucchio di parole inventate da letterati, rese correnti da autori celebri, o che nascono da opere letterarie. Scopriamo insieme queste belle parole dietro alle quali si può sorprendere una mano precisa.
Benché la somiglianza possa ingannare, ‘isola’ e ‘solitudine’ non sono parenti di sangue: soltanto la seconda viene dall’aggettivo solus, mentre la prima è forse derivata da in + solum (che, tra i suoi vari significati, include anche il mare). Nella nostra testa però i due concetti sono coniugati ormai da secoli, tanto da aver generato diversi rampolli: ‘isolamento’ (da ‘isola’, appunto) e il più recente ‘isolitudine’.
Quest’ultima parola deve la sua invenzione – per lo meno entro i confini della lingua italiana – allo scrittore Bufalino, famoso per il linguaggio personalissimo e baroccamente spumeggiante. In particolare la parola nasce dal tentativo di catturare l’essenza dei siciliani (e degli isolani in generale), definita anzitutto dal fatto di essere racchiusi entro i confini del mare.
Tale condizione, scrive Bufalino, è intrinsecamente ambivalente: “Da una parte ci sentiamo rassicurati dal mare che ci avvolge come un ventre materno, dall’altra amputati di ciò da cui siamo esclusi.” Da qui i tratti contrastanti tipici del carattere isolano: il senso di appartenenza e l’orgoglio della propria differenza, ma anche la sensazione di isolamento.
Ciò si ripercuote anche sulla vita emotiva degli isolani, che tendono a formare “isole nell’isola”. Ne è espressione l’attaccamento alla famiglia e al paese, che è un’enorme risorsa ma anche la possibile premessa di chiusure mafiose o campanilistiche. E anche il peculiare carattere siciliano, che oscilla tra eccessi contrari: “l’estroversa ospitale socialità, talora quasi servile, per antidoto dell’esser soli; e l’ombroso, omertoso riserbo, il claustrofilo rifiuto d’ogni contatto e colloquio.”
A ben guardare, tuttavia, l’isolitudine è semplicemente un’espressione estremizzata di quel “paradosso antropologico” che per De Carolis ci costituisce. In tutti gli uomini infatti agiscono due spinte contrarie: quella a delimitare una “nicchia” rassicurante, nettamente distinta dal resto, e quella di lanciarsi nel vasto mondo per sfruttarne tutte le potenzialità. Entrambe portano in sé un pericolo, ma entrambe ci sono necessarie.
Per questo la parola si presta anche a estendersi al di là del suo significato originario, e oggi in particolare sta avendo un ritorno di fiamma: in tempi di Covid, infatti, ogni casa tende a diventare un’isola. Qualcuno ha anche declinato il concetto come ‘iSolitudine’ (su modello di ‘iPhone’), viste le varie forme di socializzazione tecnologica che hanno cercato di contrastare tale isolitudine divenendone il segno più emblematico.
Anche in questo caso però la parola mantiene la sua natura ambivalente. Il suo volto oscuro è l’isolamento: l’indebolirsi dei legami sociali, la claustrofobica chiusura nei confini di casa, la monotonia di giorni sempre uguali. Ma ‘isolitudine’ può significare anche ripartire dal nucleo, acquisendo una nuova consapevolezza di ciò che è davvero importante. Può essere l’occasione per ritornare in se stessi, o per rinvigorire i legami famigliari più stretti; e, per contrasto, può esaltare la bellezza di ciò che prima si dava per scontato: le serate con gli amici, le cene al ristorante, i viaggi…
Insomma ‘isolitudine’ è una parola bifronte, come la realtà che descrive: sta a noi decidere da che lato guardarla.