Lasso

làs-so

Significato Periodo; lasco, allentato, non stretto; affaticato, prostrato, misero

Etimologia nel primo significato, dal latino lapsus, participio passato di labi ‘scivolare’; nei secondi, dal latino laxus ‘allentato’, di origine espressiva; nei terzi, dal latino lassus ‘spossato’, di incerta origine popolare.

Non è una sola parola. Sono almeno tre, solo considerando gli usi maggiori. E rischiano di essere un groviglio per chi vi si avvicini cercando di fare un punto su etimologia e significati, quindi chiariamo subito che, secondo gli approdi più recenti, sono storie distinte, anche se per certi versi convergono.

Un uso ricorrente, serio, piuttosto elegante anche se totalmente cristallizzato è quello del lasso che incontriamo nel lasso di tempo. Un periodo, letteralmente uno scivolamento, uno scorrimento di tempo – essendo figlio del lapsus e nipote del verbo latino labi, che vuol dire proprio scorrere, scivolare. Proprio la strettezza di questo uso gli dà la bellezza ingessata di un vestigio lessicale.

Si alterna invece alla variante lasco per indicare ciò che è allentato, non teso, non stretto sia in senso concreto sia in senso figurato. Posso parlare di un nodo lasso che ci lascia un po’ di gioco, di un rapporto lasso fra due persone che si sentono di rado, così come di una morale lassa che difficilmente riprende un comportamento. Ma in botanica si può parlare anche di rami lassi che si piegano con facilità, di infiorescenze lasse con fiori distanziati. E questo lasso, figlio del latino laxus, che ha il medesimo significato di ‘allentato’, si rivela parente del lasciare, che attraverso il latino lascare ha la medesima origine – che pare sia onomatopeica, rendendo un suono disteso.

C’è poi il più alto e letterario dei lassi: l’affaticato, il prostrato, il misero, l’infelice. Un senso con cui lo incontriamo comunemente frequentando la nostra letteratura più antica. Il latino lassus descriveva lo spossato, e la sua origine è molto incerta: pare si tratti di un termine popolare, presente nel latino più antico e riemerso in epoca più tarda, e si discute su confronti greci e germanici. Potrei quindi parlare della gente lassa in fila alle poste o alla fine della gara, dell’amico lasso nella sua pena d’amore, dello zio, lasso lui, che ha finito l’ultima buona bottiglia che aveva. Ma sono immagini che, per la preponderanza attuale del lasso-rilassato, non ci farebbero venire in mente qualità di miseria e prostrazione, quanto di mollezza che tende all’inerzia. E alla fine, la mollezza lenta e l’affaticamento prostrato non affacciano forse sulla stessa valle?

Ci sarebbe anche il ‘lasso’ che descrive il laccio, sia quando giunge dall’antico francese laisse, sia dal più noto spagnolo lazo, ma sono usi minori. Ci resta la testimonianza vivace, che ci palleggiamo normalmente in bocca, di come in una medesima forma possano coesistere concetti differenti, confluire storie e sensi non affini, con impieghi che si distinguono radicalmente per registro, versatilità, imponenza sull’immaginario.

Parola pubblicata il 30 Dicembre 2020