Meta

mè-ta

Significato Punto di arrivo; scopo, obiettivo, fine; nell’antichità, elemento conico

Etimologia voce dotta recuperata dal latino meta ‘cono, punto di svolta, termine’, di origine dibattuta.

  • «Sono quasi giunte alla meta.»

La meta da raggiungere, arriviamo alla meta… Ma che diavolo è la meta? Cioè, essendo un termine relativamente comune è chiaro che sia un altro modo per indicare un punto di arrivo. Un punto concreto o anche figurato, tanto che la meta diventa lo scopo — pensiamo alla meta che mi propongo con l’allenamento o l’investimento. Però arrivi, termini, fini e traguardi hanno un profilo materiale più chiaro — sono dei ‘qui’ che si fanno toccare e indicare più facilmente. La meta rimane un po’ misteriosa: dietro c’è qualcosa di ovvio e qualcosa di sorprendente.

È un termine latino, e il suo significato originario è cono. Cono. Se ci viene in mente un cono stradale a strisce bianche e arancioni non siamo poi troppo distanti dal vero — anche se più propriamente si tratta di un cippo, una pietra di segnalazione a forma di cono (quasi un paracarro, si direbbe). C’è chi si domanderà: segnalazione di che cosa?

Siamo davanti a un oggetto che poteva servire come termine per delimitare un terreno — specie se prendiamo per vere le ipotesi che lo riconducono alla radice indoeuropea da cui anche il misurare. Un cono si distingue bene come artefatto, anche nel paesaggio. Quindi, nonostante le differenze d’uso, la meta è sorella del termine, in origine pietra che manifesta il confine (protetta dal dio Terminus). Eppure ha intrapreso una carriera inattesa.

Infatti la meta più famosa, nell’antichità, non era una pietra terminale, ma una pietra di svolta. In particolare era quella intorno a cui, nei circhi romani, gli aurighi (oh, puoi non parlarne per anni e poi ti ritrovi a parlarne di nuovo nel giro di pochi giorni) materialmente giravano e tornavano indietro. La meta, quindi, è segno della fine sì, ma perché poi si gira. Questa è una bella eredità concettuale della meta, che a dispetto del suo uso comune è poco perspicua, anche perché abbiamo in mente figure molto nette e ultime di confini e traguardi: la fine può essere una svolta l’inizio di un nuovo giro, e l’obiettivo non è detto che sia in sé finale. Si percepisce bene nelle mete del rugby, che sono le marcature.

Ad ogni modo, non è affatto male accontentarsi di usare questa parola come si fa correntemente, e cioè per indicare qualcosa di più agile della destinazione (che con un pensiero in più si fa piuttosto grave, mamma mia il destino) o di più sospeso dell’obiettivo (che è tanto performativo): in un campo in cui i sinonimi non è che proprio si affollino, è davvero pregevole. È una veste in cui si distingue per pulizia, eleganza e semplicità — e questo velo che non la rende immediatamente riconoscibile nei suoi sensi originali contribuisce a rendere interessante il punto di arrivo a cui si riferisce.

Così, senza nemmeno immaginare i coni intorno a cui furiosamente svoltavano le bighe in corsa, parliamo delle mete delle vacanze, di una passeggiata e di una fantasticheria senza meta, della meta di un percorso di formazione — che magari è solo metà.

Parola pubblicata il 22 Febbraio 2024