Auriga
au-rì-ga
Significato Cocchiere, specie del mondo antico
Etimologia voce dotta recuperata dal latino auriga, di origine dibattuta.
- «Il carro da corsa veniva guidato a grandi velocità da aurighi sprezzanti del pericolo.»
Parola pubblicata il 19 Febbraio 2024
Le parole conducono spesso vite curiose. Possono essere usatissime, ad esempio, ma al contempo essere desuete. Paradosso? Dipende da come sono usate.
Ci sono tantissime cose a cui viene dato il nome ‘auriga’. Imprese, marchi, linee, prodotti, associazioni, strutture — casi di onomastica economica che finiscono per tenere viva e corrente e affascinante una parola, anche se sostanzialmente il suo significato galleggia in un boh generale. Quando questo accade, per comprendere che cosa succede ci serve generosità: non è perché la gente sia cretina (o non solo), ma piuttosto perché la parola è drammaticamente accattivante. Infatti l’auriga ci porta, secondo direzioni differenti e con un piglio statuario, in empirei letteralmente uranici, in altezze avventurose, in adrenaline eterne.
Si dice ‘auriga’ chi guida il carro, il cocchio. È una parola latina, e la sua origine è dibattuta, ma l’ipotesi di una forma precedente come oreae (sostenuta in maniera non isolata) ci rimanda a un nesso con la bocca (os oris in latino), e quindi a morsi e redini di cavallo, domesticato e guidato con una certa arte. Beninteso, non siamo davanti al postiglione che con spirito di servizio non troppo entusiasta guida carri postali, o diligenze, o cocchi signorili: siamo davanti a gente più dinamica, giovanissimi nonni rompicollo di epoche remote.
L’auriga guida in particolare i carri da guerra o quelli da corsa — e già questo vale a proiettarcelo in un passato remoto, quello dell’antichità classica e arcaica, fino all’età del bronzo, cioè il quando popolato da carri del genere.
A questo punto serve qualche addentellato, qualche manico, ma magari non abbiamo grande dimestichezza con questo genere di figura, anche se i suoi sprazzi pop ce li ha avuti: pensiamo alla corsa dei carri di Ben Hur (non il riferimento più fresco, eh). Però c’è una narrazione cardinale a cui possiamo riferirci, in cui gli aurighi hanno uno spazio rilevante, ed è l’Iliade. C’è un sacco di gente notabile che gira in carro, nell’Iliade, e ogni carro è guidato da un auriga. Peraltro, in maniera piuttosto bizzarra.
In realtà tutta la guerra di Troia si combatte in una maniera bizzarra, che non è solo arcaica, è insieme fantasiosa, poetica, ricca di anacronismi: spesso ci pare che sia un susseguirsi di singolari tenzoni fra un greco e un troiano, e poi tutti si muovono di qua e poi tutti si muovono di là e discutono. Il carro, e con esso l’auriga, è funzionale a questo battagliare: l’auriga non guida un carro falcato, con terribili lame sui mozzi delle ruote per fare strage, né trasporta arcieri. Non è pedina in una strategia bellica. È un autista e assistente personale del relativo nobiluomo — il quale, quando giunge nel punto del campo che desidera, scende e mena le mani, e quando viene ferito risale e va a farsi medicare. Fortunatamente per l’auriga, l’appartenenza al comparto trasporti del suo ruolo omerico è rimasta un po’ sfocata, e spicca per essere sempre nel mezzo dell’azione, a correre rischi eroici.
La storia del carro da guerra e dell’auriga militare è stata desultoria — è una figura che emerge nel cuore delle steppe, si diffonde, scompare, ricompare, scompare ancora. È stato più longevo l’auriga-atleta, pilota nelle corse dei carri. Beninteso, longevo come professione, perché questi giochi pubblici sono andati avanti per secoli anche in civiltà che dei carri da guerra non se ne facevano nulla (esempio facile, la civiltà romana); e però le corse dei carri erano spesso mortali.
Ma un peso senz’altro non trascurabile, nel successo sempreverde dell’auriga, è il riferimento alla costellazione omonima. È una costellazione importante del cielo del nostro emisfero, in cui spicca la luminosissima Capella: la sua figura dovrebbe essere quella di Erittonio, mitico re di Atene che, fra il molto altro, domò i cavalli e inventò la quadriga — pare, come strumento compensativo per la sua zoppia. Inventò anche le corse, con questi carri.
‘Auriga’ non è un nome che si usi più in concreto, ma nemmeno in estensioni figurate. Il suo uso largo è un uso di richiamo, che cerca di accedere al fascino di una storia — celeste, epica, adrenalinica, forte di un pieno senso di libertà, di agilità e di bellezza — col solo fascino del suo nome, simbolo e simulacro. Le parole sanno fare anche questo.
L’auriga di Delfi, statua in bronzo vecchia circa 2.500 anni.