Orchestrare
or-che-strà-re (io or-chè-stro)
Significato Scegliere quali strumenti adottare per l’esecuzione di una composizione musicale (nel senso di ‘strumentare’). In senso figurato, preorganizzare abilmente qualcosa, anche senza considerare l’opinione degli altri
Etimologia dal latino orchestra, dal greco orkhéstra, spazio riservato ai danzatori nel teatro greco, derivato di orkhéomai ‘danzare’.
- «Chiedi a Maurizio, è lui che ha orchestrato tutto.»
Parola pubblicata il 09 Giugno 2024
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Nella lingua greca antica l’orkhéstra era un luogo dell’anfiteatro situato fra la scena e le gradinate dove sedeva il pubblico; era lì che il coro, un gruppo di danzatori, eseguiva la ‘danza corale’. Oggi orchestica è infatti un sinonimo cólto proprio per definire l’arte della danza, o coreutica.
Dalla Grecia, la parola orchestra traghettò nell’antica Roma dove, sempre in teatro, divenne lo spazio riservato ai senatori. All’inizio del VII secolo Isidoro di Siviglia, nelle Etimologie, registrava ancora il latino orchēstra. Nel Medioevo però si persero le tracce della parola, che non venne accolta nel volgare. Fu recuperata nel 1589 da Thoinot Arbeau nel suo dialogo sull’arte della danza Orchésography. L’autore, richiamando l’antico teatro classico, spiegava che orchestre in francese si poteva tradurre come dançoir, il luogo dove si danza.
Nel 1658 l’inglese Edward Phillips compilò The New World of English Words, un dizionario della lingua inglese sui generis, un tomo utile per consultare «quelle parole difficili che derivano da altre lingue». Phillips scrisse «Orchester (dal greco): luogo della scena in un teatro, dove usa danzare il coro; talvolta è usato anche per indicare il luogo ove siedono i musicisti». Quest’ultima precisazione testimonia che il termine stava acquisendo un significato concreto; poi, per metonimia, finì per identificare anche il gruppo degli esecutori che occupava quel posto.
L’accezione moderna di orchestra è attestata sin dall’inizio del Settecento. In Italia il celebre soprano Pierfrancesco Tosi deprecava «certi vocalisti che pretendono che un’orchestra intera si fermi […] per aspettare i loro mal fondati capricci» (1723). Più tardi il verbo orchestrare prenderà lentamente forma e arriverà in Italia nella seconda metà dell’Ottocento.
Oggi possiamo contare su due sinonimi di ‘orchestrare’, ovvero ‘strumentare’ e ‘arrangiare’. Strumentare significa destinare una composizione a un insieme di strumenti, indipendentemente dal loro numero complessivo. Orchestrare, invece, presuppone che la destinazione sia per un complesso orchestrale, e quindi per un numero nutrito di elementi. Arrangiare, poi, in italiano ha una sfumatura più ‘leggera’, ma ormai la lingua inglese lo ha fatto accogliere anche nell’ambito classico.
Orchestrare, dunque, vuol dire produrre la partitura orchestrale di una composizione nuova, oppure di una già esistente; in quest’ultimo caso, si interviene su una musica originariamente concepita per strumento solista o per un piccolo organico da camera. Insomma, orchestrare è una stimolante sfida creativa. A Hollywood interi staff di orchestratori lavorano sodo per esaltare la musica dei film, facendo i conti sia con la trama che con le immagini raccontate dalla pellicola.
Hector Berlioz scrisse il primo Grand traité d’instrumentation et d’orchestration modernes. Nell’opera trattò sia dei singoli strumenti dell’orchestra, sia dell’orchestra vista come un unico grande strumento «suonato dalle mani del capo d’orchestra sotto la direzione del compositore». Non è un caso se i francesi sono ancora oggi ritenuti abilissimi orchestratori. Maurice Ravel nel Bolero offrì una perfetta prova di quest’arte, sebbene considerasse la sua composizione «l’unico capolavoro… che purtroppo non contiene musica»! Un altro fine conoscitore dei colori orchestrali fu Nikolaj Rimskij-Korsakov, autore della suite sinfonica Sheherazade, ispirata a Le mille e una notte.
Nel 1874 Modest Musorgskij compose una splendida suite per pianoforte intitolata Quadri d’una esposizione, sulla quale proprio Ravel realizzò una delle più note orchestrazioni di tutti i tempi. La musica originale, per pianoforte solo, è potente ma inevitabilmente essenziale, mentre la versione di Ravel sfodera l’intera tavolozza dei colori orchestrali. Negli anni Settanta, arrivò anche la rielaborazione progressive del trio Emerson, Lake & Palmer.
Nei testi scritti, la parola ‘orchestrare’ ha avuto un utilizzo crescente e quasi costante dalla metà dell’Ottocento sino ad oggi, probabilmente anche grazie all’uso figurato a cui si presta. Si può orchestrare un battage pubblicitario, una campagna elettorale, e perfino una truffa, purché tutto sia ben congegnato.