Parte
pàr-te
Significato Frazione di un intero, numero limitato, quota, zona, fazione; porzione dell’opera spettante al singolo musicista o attore; ruolo, compito
Etimologia dal latino pars.
Parola pubblicata il 16 Novembre 2019
L'italiano sul palcoscenico - la Settimana della lingua italiana nel mondo 2019 (in India)
Su incarico dell'Istituto Italiano di Cultura di Mumbai, oltre che del Consolato Generale d'Italia a Mumbai e con l'associazione dell'Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi, la settimana dall'11 al 17 novembre vi proponiamo un ciclo di sette parole con cui ripercorrere la storia del teatro in Italia, da quello antico al contemporaneo: festeggeremo così la XIX Settimana della lingua italiana nel Mondo (in India è differita a questa settimana). Questa edizione gravita sul teatro e l'opera: le parole sono di Giorgio Moretti, gli approfondimenti sul teatro di Lucia Masetti.
Questa parola ha una dignità speciale, in italiano: è fra le prime parole che possiamo dire ‘italiane’. Compare infatti in un documento antichissimo, una singola frase che è una delle prime testimonianze non di un passaggio episodico per iscritto di una lingua orale ancora in fase embrionale, ma di un’azione rilevante, performativa, compiuta attraverso la lingua italiana – per quanto ancora giovanissima, strana, spigolosa e imberbe.
Si tratta del Placito di Capua, del 960, il documento di una testimonianza giurata resa in una lite riguardo a un terreno di proprietà del monastero benedettino di Montecassino: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”. Grossomodo afferma: “So che quelle terre, in quei confini che qui sono contenuti, le possedette per trent’anni la parte di San Benedetto.” Oltre a testimoniare un inizio serio d’italiano (avrebbero potuto parlare in latino, erano notai e chierici, ma anche in un’occasione solenne non lo fecero), testimonia una riscoperta del diritto romano, dell’usucapione, segno di riattivazione economica e culturale dopo i secoli più bui.
La parte è una porzione di un tutto, non esiste in assoluto ma solo in relazione a una realtà più grande, rispetto alla quale è in qualche modo definita e distinta. Si stacca, concretamente o idealmente, e l’etimologia latina collega pars al verbo parere, cioè ‘generare’ (da cui il parto della nascita). Passa per una divisione, che è la stessa del partire.
Per questo possiamo parlare di una persona che è delle nostre parti, o domandarci che cosa si mangia da queste parti (in cui la parte è una zona); per questo possiamo parlare di una parte politica (in cui la parte è una fazione); e sempre per questo parliamo della parte come numero limitato (è arrivata solo una parte dei turisti che aspettavamo), come quota spettante (tieni, questa è la tua parte di pizza). L’apice lo raggiungiamo però con la parte dell’attore e del musicista, la porzione dell’opera che deve recitare o suonare, e in generale con la parte come ruolo, del dovere (ho fatto la mia parte). Nella vasta complessità del tutto del mondo, ciascuna persona partorita, partita, cerca la sua parte.
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Tutti noi ci muoviamo nella vita alla luce di una piccola lanterna, che è la coscienza: quella cosa che ci fa consapevoli di esistere e con la quale cerchiamo di dare un senso al mondo. Queste nostre lanternine si orientano sulla base di lanterne più grandi, gli ideali (Verità, Virtù, Bellezza…). Tuttavia può capitare che un vento fortissimo spenga tutte le lanternone all’improvviso. Così le lanternine precipitano nel buio e nello scompiglio e trovare la propria strada diventa molto più difficile.
È proprio ciò che accade nel Novecento, come spiega il celebre autore di questa “filosofia delle lanterne”: Pirandello. In effetti tutta la sua opera parla della crisi moderna, segnata dalla difficoltà di trovare certezze solide; e in particolare si concentra sulla crisi dell’identità personale. Secondo Pirandello tutti noi interpretiamo molteplici parti: ne assumiamo una diversa per ogni persona che incontriamo, e un’altra parte ancora la recitiamo per noi stessi. Nessuna di queste parti, però, è vera. La vita infatti è un flusso continuo e indifferenziato, perciò nel momento stesso in cui viene racchiusa in una forma, in un nome, diventa falsa e muore.
Ogni persona dunque è tanti personaggi, o tante maschere, sotto le quali non c’è nessun volto. Come nel dramma “Così è (se vi pare)”, che ruota attorno a una donna misteriosa. Il signor Ponza la identifica come sua moglie Giulia, sposata dopo la morte della prima moglie Lina; al contrario la madre di Lina è convinta che la donna sia sua figlia, risposatasi una seconda volta sotto il nome di Giulia. Stabilire la verità è impossibile e, messa alle strette, la donna risponde soltanto: “Io sono colei che mi si crede.”
Questa crisi dell’identità comporta anche un’incomunicabilità insuperabile, perché ogni nostro messaggio è interpretato dagli altri in base all’immagine (falsa) che hanno di noi. Perciò ogni individuo è profondamente solo.
Tuttavia la concezione pirandelliana può avere una sfumatura positiva se letta a rovescio, come l’esortazione a non lasciarsi chiudere in una parte già scritta. Uno stimolo cioè a riscoprire noi stessi e gli altri al di là dei limiti che tracciamo o dei ruoli che la società propone. In fondo questa è la grande differenza tra personaggio e persona: il primo è un punto di arrivo, la seconda è un punto di partenza.