Sabbatico
Parole semitiche
sab-bà-ti-co
Significato Aggettivo che indica il riposo, specialmente riferito all’anno; relativo al sabato, giorno di riposo nella fede ebraica
Etimologia dall’ebraico shabbāt, ‘giorno di interruzione del lavoro’.
Parola pubblicata il 01 Novembre 2019
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
Nella Bibbia è stabilito che si osservi un anno detto ‘sabbatico’ alla fine di cicli di sette anni, in cui la terra sia lasciata a riposo, si affranchino gli schiavi, si rimettano i debiti. Un anno di cuccagna, insomma. Nel linguaggio corrente, l’anno sabbatico è diventato un anno di cessazione delle attività ordinarie, che sia ritirarsi temporaneamente dall’insegnamento per un professore che desidera dedicarsi alla sola ricerca, che sia un lungo viaggio intorno al mondo prima di intraprendere una strada impervia nella propria vita. Si può anche dire, in maniera più generale, che si vuole prendere un periodo sabbatico per se stessi, senza specificare la durata di questa pausa (magari si tratterà solo di tre o quattro mesi!).
Se nella testa vi risuonano sia sabato che sabba, beh, non state prendendo un granchio.
«Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.»
Con queste parole, nella Genesi, il primo dei primi cinque libri della Tanakh (il Pentateuco), è narrato il settimo giorno della creazione, quello in cui Dio si riposa. Sabato, in ebraico, si dice shabbat, o anche shabat ed originariamente è un verbo che significa ‘smettere’, ‘cessare’, quindi nel contesto dello sforzo creativo di Dio, ‘fermare il lavoro’, ‘riposare’. Alcune etimologie inseriscono in questo quadro anche la parola shi’vah che indica il numero sette, essendo appunto sabato ‘il settimo giorno’ e l’anno sabbatico ‘il settimo anno’. L’altra parola da aggiungere a questo calderone lessicale è sabba, il consesso delle streghe in presenza del Diavolo. Il termine sabba compare nel XV secolo, in Francia, ed è il risultato lessicale di superstizione, antisemitismo, ignoranza e paura. Che cocktail amaro!
Nell’ebraismo il sabato è un giorno da trascorrere con la famiglia o con gli amici. L’halakhah, ovvero l’insieme di norme che regola la vita dei fedeli, stabilisce numerosi precetti riguardo lo shabat che sono seguiti più o meno rigidamente dai fedeli: non accendere né spegnere fuochi, non cucire, non arare i campi, non cucinare, non scrivere né cancellare… alcuni ebrei ortodossi non suonano nemmeno i campanelli delle case quando vanno in visita da parenti o amici! Va da sé che, anche al tempo di Gesù, di sabato fosse proibito attendere alle esequie o alle faccende relative alla sistemazione dei defunti. Ecco perché Maria Maddalena si presentò al sepolcro per occuparsi del corpo di Gesù, morto di venerdì, solo di domenica, ovvero ‘il primo giorno della settimana’.
Nel mondo cristiano il sabato è quindi diventato il giorno che precede la festa, ed è quasi più ricco di gioia, speranza e aspettativa che non la domenica stessa, come ci insegna Giacomo Leopardi nella lirica ‘Il sabato del villaggio’.
Il sabato ed il sabbatico son tanto vecchi quanto il mondo, secondo la Bibbia. Hanno attraversato i secoli, in oriente e in occidente, passando per un sepolcro gerosolimitano rimasto vuoto, per le riunioni delle fattucchiere ai trivi di campagna, per gli stretti vicoli di Recanati, per le aule universitarie del mondo, fino alla pista da ballo animata da John Travolta.
Oggi è venerdì e stasera, al crepuscolo, si accenderanno le candele dello shabat. Non resta dunque che dirvi shabat shalom!