Capriccio
ca-prìc-cio
Significato Voglia, idea stravagante, bizzarra e improvvisa. In musica: composizione di carattere libero
Etimologia da capo riccio, con due significati: ‘desiderio bizzarro e improvviso’ e, piuttosto desueto, ‘ribrezzo’. Nel primo caso i capelli ricci sono associati a un carattere stravagante, ribelle; nel secondo si rizzano o arricciano in segno di ripugnanza, o di terrore.
Parola pubblicata il 09 Maggio 2021
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Ogni riccio un capriccio. Anche in musica il capriccio è volubile: non è riconducibile a una forma specifica o a una procedura esecutiva, ma nemmeno a un organico peculiare, vocale o strumentale. Infatti, nelle arti è stato accolto il primo significato, nonostante Dante avesse usato nella Commedia il predicato ‘raccapricciare’, o ‘accapricciare’, nella seconda accezione.
Fuori dall’empireo poetico, oggi conosciamo i capricci innocenti dei bambini e quelli degli adulti, quando vogliono togliersene uno, o quando il riccioluto Cupido con un suo dardo fa scoccare un incapricciamento. Il denominatore comune è sempre l’impulso irrazionale, che ha origine nella nostra parte emotiva.
Il primo utilizzo del termine in musica si ebbe nel 1561, quando fu pubblicato Il primo, secondo et terzo libro del capriccio di Iachetto Berchem… ‘sopra le Stanze del Furioso’. Ben presto i musicisti intitolarono ‘capriccio’ alcune loro composizioni vocali e, poco dopo, anche strumentali, in particolare per tastiera, quasi fosse un momento d’improvvisazione.
Grazie alla penna e all’inventiva di Claudio Monteverdi, di Girolamo Frescobaldi e di altri maestri, il capriccio attraversò generazioni di compositori. Proprio per le sue caratteristiche intrinseche, diede spazio all’espressività – anche a costo d’infrangere le regole del contrappunto – concedendo ampia libertà ritmica e fluttuazione del tempo. Per farci un’idea del suo carattere improvvisativo, il compositore tedesco Michael Praetorius (1571–1621) chiamò quello per tastiera phantasia subitanea.
Parafrasando l’abate francese Antoine Furetière (1690), i capricci sono opere musicali, poetiche, o pittoriche, che scaturiscono dalla forza dell’immaginazione più che dall’osservanza delle regole dell’arte. Anche i pittori, infatti, dipingono capricci, combinando sulla tela elementi d’ispirazione fantastica e talvolta stravaganti, arrivando perfino a deformare le leggi prospettiche.
Nel capriccio l’autore dà libero sfogo al suo genio e all’estro dell’ispirazione. In questo senso, è un’attitudine verso l’eccezionale, il fantastico, l’apparentemente arbitrario. Per tale motivo nel periodo barocco trovò condizioni favorevoli al suo sviluppo e in musica fu assimilato di volta in volta a forme diverse, spesso indistinguibili fra loro: la fantasia, il preludio, la toccata e altro ancora.
Pietro Antonio Locatelli (1695-1764) compose concerti per violino al cui interno le cadenze (momento in cui tutti tacciono e il solista, unico temerario protagonista della scena, mette alla prova il suo virtuosismo) acquisirono vita autonoma, estrapolate dal brano di cui originariamente facevano parte. Infatti, creò pagine brillanti, in cui l’esecutore poteva sfoggiare la sua bravura, arrivando a sfruttare posizioni estreme dello strumento. I capricci di Locatelli divennero opere a sé stanti, entrando nel repertorio dei migliori violinisti di successo di tutto il mondo. I famosi capricci di Paganini (per esempio, il n. 5) s’inserirono proprio nel solco di tale stupefacente tradizione.
Ma il polimorfismo del capriccio non si esaurisce qui. Nel XVII e XVIII secolo furono così chiamate alcune danze, o raccolte di balli. La parola si trova inoltre nella forma aggettivata, come suggerimento intenzionale: ad esempio il Rondò capriccioso di Mendelssohn o il Momento capriccioso di Weber.
Insomma, potremmo scapricciarci con un’infinità di ascolti, ma provo a suggerirne due, molto diversi, e proprio per questo significativi: lo scintillante Capriccio espagnol per orchestra di Nikolaj Rimskij-Korsakov e l’onirico Capricho árabe per chitarra di Francisco Tarrega.