SignificatoRelativo al convivio; allegro, partecipe e spensierato
Etimologia voce dotta recuperata dal latino convivialis, derivato di convivium, a sua volta da convivere, ‘vivere insieme’, ma anche ‘mangiare insieme’.
Le parole sanno anche essere ottimiste e generose — e questo è un caso esemplare, perché intende dirci che convivenza e convivialità sono un tutt’uno liscio, mentre la realtà, come sappiamo, sa essere più irta.
Iniziamo dal significato del termine, che è cardinale. Appartiene a un registro senz’altro elevato (non è una parola priva di ricercatezza), ma accessibile, senza astrusità, e ha il coraggio (in effetti abbastanza raro, nel dizionario) di porgerci una realtà luminosa di allegria e spensieratezza.
In particolare il conviviale ci fa accedere all’articolato sistema di credenze che coltiviamo intorno allo stare insieme, specie a tavola — e in questo senso è una parola culturalmente densa. Il verbo latino convivere mette subito giù le carte con una coppia di significati dal senso eloquente e inequivocabile: vivere insieme / mangiare insieme. È una bipartizione che ha l’aria di una dichiarazione solenne. Perciò non è strana la piega presa dal convivio, che a dispetto dell’ampiezza del convivere si concentra fin dal medioevo sull’accezione univoca di ‘banchetto’.
Ora, a tavola succedono molte cose, ma il taglio di situazione che vuole esprimerci il conviviale è l’aura di sentimento, la disposizione d’animo che c’è a un banchetto — ed è buffo come si debba ammettere che non ha niente a che fare col cibo. Il conviviale è tutto sociale, relazionale, in una dimensione di galateo che è incardinata su un evento goloso senza però dare nemmeno un’annusata al piatto. Anche questo, probabilmente, mostra un tratto rilevante e profondo della nostra cultura — di cui la tavola imbandita è uno dei primi perni.
Il conviviale spicca per letizia, garbo, capacità d’intrattenere e intrattenersi in maniera ricca —potremmo dire che spicca per eutrapelia, scomodando un termine dell’Etica di Aristotele, la virtù del comportarsi piacevolmente e divertirsi a modo (dopotutto ne parla anche Dante nel suo Convivio!).
E badiamo, il conviviale non è fatuo: più conviviale dell’amicone lepido che fa sempre la battuta giusta con le persone giuste, è la persona che sa rendere fertile questo momento sospingendo il discorso verso lidi interessanti e accogliendo chiunque. Non è nemmeno festoso: c’è una radicale misura, nel conviviale, perché la misura è sempre richiesta, intorno a un tavolo apparecchiato. È un aggettivo che ci squaderna come questi siano momenti in cui sotto la maschera piacevole del mangiare insieme si ragiona, ci si arricchisce, si vive.
Eh, si penserà, queste sono qualità pensate e forgiate nelle antiche fucine cortigiane della cortesia e della cavalleria. Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
Potrà stupire scoprire che questa accezione di ‘conviviale’, oggi dominante, ha solo una quarantina d’anni: dizionari precedenti non la registrano proprio. Il conviviale, prima, era sempre stato ciò che è relativo al convivio o ciò che viene fatto durante un convivio, e quindi una poesia conviviale era del genere che si recita durante un banchetto, discorso conviviale quello che si pronuncia per quell’occasione. Naturalmente, anche queste manifestazioni hanno un tratto conviviale contemporaneo (non sono momenti per parole grevi e truci e saturnine), ma il passo verso l’astrazione di questa qualità si è compiuto di recente. Anche i concetti più radicali e antichi possono essere perfezionati, in ogni momento.
Le parole sanno anche essere ottimiste e generose — e questo è un caso esemplare, perché intende dirci che convivenza e convivialità sono un tutt’uno liscio, mentre la realtà, come sappiamo, sa essere più irta.
Iniziamo dal significato del termine, che è cardinale. Appartiene a un registro senz’altro elevato (non è una parola priva di ricercatezza), ma accessibile, senza astrusità, e ha il coraggio (in effetti abbastanza raro, nel dizionario) di porgerci una realtà luminosa di allegria e spensieratezza.
In particolare il conviviale ci fa accedere all’articolato sistema di credenze che coltiviamo intorno allo stare insieme, specie a tavola — e in questo senso è una parola culturalmente densa. Il verbo latino convivere mette subito giù le carte con una coppia di significati dal senso eloquente e inequivocabile: vivere insieme / mangiare insieme. È una bipartizione che ha l’aria di una dichiarazione solenne. Perciò non è strana la piega presa dal convivio, che a dispetto dell’ampiezza del convivere si concentra fin dal medioevo sull’accezione univoca di ‘banchetto’.
Ora, a tavola succedono molte cose, ma il taglio di situazione che vuole esprimerci il conviviale è l’aura di sentimento, la disposizione d’animo che c’è a un banchetto — ed è buffo come si debba ammettere che non ha niente a che fare col cibo. Il conviviale è tutto sociale, relazionale, in una dimensione di galateo che è incardinata su un evento goloso senza però dare nemmeno un’annusata al piatto. Anche questo, probabilmente, mostra un tratto rilevante e profondo della nostra cultura — di cui la tavola imbandita è uno dei primi perni.
Il conviviale spicca per letizia, garbo, capacità d’intrattenere e intrattenersi in maniera ricca —potremmo dire che spicca per eutrapelia, scomodando un termine dell’Etica di Aristotele, la virtù del comportarsi piacevolmente e divertirsi a modo (dopotutto ne parla anche Dante nel suo Convivio!).
E badiamo, il conviviale non è fatuo: più conviviale dell’amicone lepido che fa sempre la battuta giusta con le persone giuste, è la persona che sa rendere fertile questo momento sospingendo il discorso verso lidi interessanti e accogliendo chiunque. Non è nemmeno festoso: c’è una radicale misura, nel conviviale, perché la misura è sempre richiesta, intorno a un tavolo apparecchiato. È un aggettivo che ci squaderna come questi siano momenti in cui sotto la maschera piacevole del mangiare insieme si ragiona, ci si arricchisce, si vive.
Eh, si penserà, queste sono qualità pensate e forgiate nelle antiche fucine cortigiane della cortesia e della cavalleria. Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
Potrà stupire scoprire che questa accezione di ‘conviviale’, oggi dominante, ha solo una quarantina d’anni: dizionari precedenti non la registrano proprio. Il conviviale, prima, era sempre stato ciò che è relativo al convivio o ciò che viene fatto durante un convivio, e quindi una poesia conviviale era del genere che si recita durante un banchetto, discorso conviviale quello che si pronuncia per quell’occasione. Naturalmente, anche queste manifestazioni hanno un tratto conviviale contemporaneo (non sono momenti per parole grevi e truci e saturnine), ma il passo verso l’astrazione di questa qualità si è compiuto di recente. Anche i concetti più radicali e antichi possono essere perfezionati, in ogni momento.