Recitare

re-ci-tà-re (io rè-ci-to)

Significato Dire ad alta voce ciò che si sa a memoria o si legge; interpretare in scena; come intransitivo, fare l’attore, sostenere una parte, ma anche fingere, simulare, atteggiarsi

Etimologia voce dotta recuperata dal latino recitare ‘leggere ad alta voce’, derivato di citare ‘chiamare per nome’, con prefisso re- che indica ripetizione.

Quando l’amico si complimenta con la potenziale suocera per il delizioso sformato di carciofi, sappiamo che sta recitando. La sua è un’affettazione innaturale, sta facendo finta: si è sempre rifiutato di mangiare carciofi quanto un martire di abiurare. Ebbene, il modo in cui il recitare arriva a questo significato è meraviglioso – e s’inizia col citare.

Citare, in latino, aveva il primo significato di ‘muovere, scuotere’: esatto, proprio quello che troviamo nel sollecitare, nell’eccitare, nell’incitare. Ma noi umani abbiamo un modo unico per muovere, scuotere: la voce – e in particolare, l’atto del chiamare. Questo citare ha il profilo di una convocazione, di un appello: ancora oggi parliamo della citazione in giudizio, senza intendere che un avvocato ha fatto un dotto riferimento al De Oratore di Cicerone, ma la chiamata di qualcuno a prendervi parte. E proprio in tribunale nasce il recitare.

Banalmente, scaturisce col senso di un rifare l’appello. Chi recitava, riprendeva in un appello nominale chi era stato citato in quel giudizio, e immaginiamo bene con che voce stentorea lo facesse: un esempio di lettura ad alta voce che doveva essere dei più carismatici (nella piazza o nella basilica per altri affari, chi non presterebbe orecchio a quale vicino viene citato in giudizio?), ma anche dei più consueti. Per questa via il recitare diventa il leggere ad alta voce tout-court.

Questa parola inizia a ricomparire presto in una lingua nuova, che non è più latino e non è ancora il grande italiano letterario, nel Millecento. Ad esempio troviamo recetare nel Ritmo di sant’Alessio, una rappresentazione giullaresca in versi (probabilmente dell’area marchigiana) della vita del santo; e compare col senso non solo di leggere ad alta voce, ma di dire a voce alta qualcosa che si sa a memoria. Il recitare si fa declamare, e già nel Trecento si riferisce a un’interpretazione in scena. Curiosamente, era solo transitivo: si poteva recitare una commedia, ma il recitare guadagnerà un primo uso intransitivo solo nel Seicento, descrivendo il mestiere dell’attore. Passaggio da nulla? Forse no: fra il recitare una commedia e il recitare in una commedia passa il riconoscimento di una certa autonomia del pezzo teatrale e del lavoro dell’attore.

Così guadagna anche i significati di comportarsi in modo innaturalmente affettato, di simulare quasi fosse un’interpretazione teatrale – quindi Tizio si mostra amichevole ma sta recitando, smetti di recitare perché ho scoperto tutto, e dai, siamo fra di noi, non c’è bisogno di recitare. E intanto quel declamare si è riadattato anche alla sfera giuridica: spesso per richiamare ciò che è previsto da una norma parliamo di ciò che recita la legge – quasi incarnata, che con forte voce ripete in piazza i suoi articoli.

Parola pubblicata il 21 Gennaio 2021