Dialettica
di-a-lèt-ti-ca
Significato Abilità verbale del sostenere una posizione, del persuadere, esercitata nella discussione; in filosofia, declinato in diverse accezioni, metodo di conoscenza fondato sul dialogo o sul confronto fra opposti; processo risultante dal contrasto fra due forze
Etimologia voce dotta recuperata dal latino dialéctica, dal greco dialektiké (sottinteso téchne ‘arte’), il quale è derivato di dialektikós ‘relativo alla discussione’, a sua volta da diálektos ‘colloquio, conversazione’, ma anche ‘discussione, disputa’.
Parola pubblicata il 01 Luglio 2019
Tastando questa parola si tocca una vena profonda della nostra lingua e del nostro pensiero. Infatti se oggi parlando di dialettica ci vengono in mente particolari capacità oratorie o situazioni di contrapposizione piuttosto fertile, non è scontato tenere presente che dal punto di vista filosofico si tratta di un metodo di conoscenza — che sì, è stato variamente inteso di scuola in scuola, ma il cui nocciolo, negli ultimi ventiquattro secoli, si è conservato piuttosto bene.
Il metodo è quello del confronto dialogico: veste i panni essenziali della maieutica di Socrate, quelli esagerati del sofisma, quelli della logica di Aristotele in un’onda lunga che arriva all’evo moderno (abbracciando frattanto l’apologetica e la via razionale alla fede); gira a vuoto la dialettica trascendentale di Kant senza trovare appigli solidi per determinare verità su Dio, l’anima e il mondo, si triangola con Hegel, la dialettica, fra tesi e antitesi contrapposte che giungono a una sintesi. È nella dialettica che conserviamo quella forza che scorre, carsica, sotto a ogni nostra saggezza e sapienza — condivisa nel contrasto del processo in tribunale, nella critica laterale sulla strategia d’impresa, nella ricerca scientifica che si precisa bordeggiando, negli attriti dell’amicizia e dell’amore, e ovviamente anche nel nostro parlamento interiore.
Certo è gradevolissimo parlare di dialettica dicendo che non ci faremo infinocchiare dall’acuta dialettica del nostro avversario, raccontando come con una dialettica raffinata siamo riusciti a convincere i colleghi a prendere le ferie quando comoda a noi; ma la dialettica non è solo sofismi sofisticati da oratori. Più profonda è invece quella foto che ci rende la dialettica come processo che esce da un contrasto fra forze: pensiamo alla dialettica fra i due schieramenti del consiglio che porta a una soluzione equilibrata, alla dialettica fra politica e arte che spinge e muove fra attacchi e suggestioni, alla dialettica fra il vino e il cibo. Non è un punto statico raggiunto: è un processo. Una galassia che va dall’abbinamento freddo allo scontro al calor bianco, dalla ricerca della verità allo spaccio del mendace, dalla volontà di equilibrio allo sbilanciamento totale, serrata tutta in un concetto che meravigliosamente si riduce al colloquio.
Ma in coda c’è una suggestione sull’etimo che non si può trascurare: c’è un nesso fra la dialettica e il dialetto. E no, questo nesso non ci racconta l’affabulazione degli indigeni che riescono a venderti tre volte quello che intendevi comprare, ma qualcosa di più sottile. La dimensione di discussione del diálektos è un’estensione del primo e più neutro senso di ‘conversazione’, e da questo parlare scaturisce il senso di lingua, specie locale. Senza impelagarci in avvicendamenti etimologici un po’ intricati, questo lo possiamo apprezzare: nel dialetto e nella dialettica resta marcato il profilo di una situazione. L’intimità pertinente di un confronto verbale, di un colloquio.