Ipocrita

i-pò-cri-ta

Significato Che agisce simulando sentimenti, qualità e intenzioni lodevoli; persona che si comporta così, falsamente

Etimologia voce dotta recuperata dal latino ecclesiastico hypócrita, prestito dal greco hypokrités col primo significato di ‘attore’, dal verbo hypokríno ‘recitare’, ma in primis ‘rispondere’. .

Che parola emozionante! Al suo comparire si levano allarmi, giudizi. È proprio una parola centrale, e particolarmente ricca di implicazioni e storia, con un’intelligenza dei fatti umani davvero straordinaria: in particolare ci presenta una continuità fra teatro e vita consociata — con uno scorcio di pensiero notevole.

In greco hypokrités significa ‘attore’. Solo in un secondo momento, per estensione, diventa l’impostore, la persona che finge fuori dal palco. Ma questo è un nome da guardare bene, perché anche se di primo acchito può sfuggire, il verbo da cui nasce, hypokríno, è composto da elementi che sono ricorrenti, e abbastanza noti.

Il primo è il prefisso hypo-, che significa ‘sotto’ (lo troviamo in un sacco di parole, dall’ipogeo all’ipocoristico). Il secondo è il verbo kríno ‘distinguere, separare, decidere’, un verbo cardinale, padre della critica, del criterio, della crisi. Alla base dell’ipocrita c’è un sottodistinguere, quindi?

Hypokríno ha come primo significato quello di ‘rispondere’, non ‘recitare’. Il ‘sotto’ ha qui un tratto secondo, di gradualità, delicatezza, quasi d’intimità — tratti tipici del modo in cui separiamo, distinguiamo la risposta dentro di noi, cerchiamo negli archivi interiori operando una valutazione, interpretando. Per questo hypokríno è in primis un rispondere, uno spiegare, un dichiarare. E che cos’è che si fa in scena?

Si devono dire delle cose. Non solo, naturalmente, ma lo scambio di battute è essenziale, lo scambio di risposte, di interpretazioni, si fa notare come fulcro della messinscena. È così che un rispondere diventa un recitare, prendere parte a uno spettacolo — e di qui nasce l’ipocrita come attore prima e come simulatore poi.

È in particolare attraverso il suo uso nei testi evangelici, a partire dal greco biblico, che l’ipocrita ha conosciuto un’ampia risonanza, tanto da diventare un atteggiamento umano fondamentale fra quelli che riconosciamo, e perfino un tipo umano.

In una società che fa della virtù personale un elemento di primaria importanza, l’atteggiamento ipocrita è percepito con una serietà speciale, e stigmatizzato con una speciale avversione: è l’imitazione della virtù, del sentimento buono, dell’intenzione lodevole, della qualità positiva — imitazione che lucra simpatie e favori, ma che sotto nasconde qualcosa di minaccioso, di insidioso, di rapace, coperto in modo poco affidabile e poco rassicurante. Così lo zio si accorge subito che l’ospite ipocrita gli ha prima offerto una bottiglia di pregio, e poi è andato in cucina a scaraffarne un’altra più scarsa; annusiamo subito come ipocrita la premura da parte della vicina di casa, che di solito fa finta di non vederci — chissà che ci vuole chiedere; e sono ipocrite le lusinghe con cui la zia cerca di spingerci a giocare a biliardo piuttosto che partecipare con lei al torneo di burraco.

Si potrebbe osservare che una misura di ipocrisia è vitale per la cortesia, per l’urbanità, per la convivenza, e che la persona refrattaria alla finzione, che fa trasparire sempre i propri pensieri autentici, anche i più aspri, è destinata a infliggere dolore, a tradire i propri desideri — perfino all’ostracismo. Pensiamo a che cosa potrebbe mai essere la diplomazia senza ipocrisia…! Ma la qualità dell’ipocrita si è affermata, nella lingua, con un taglio che non lascia spiragli positivi — e questo dice qualcosa di importante della nostra cultura: la finzione del bene non è ammessa.

Parola pubblicata il 08 Giugno 2022