SignificatoCanto corale in onore di Apollo o di altre divinità; discorso di esaltazione
Etimologia voce dotta recuperata dal latino Paean, dal greco Paián, epiteto di Apollo, letteralmente ‘guaritore, risanatore’.
L’amministrazione locale sistema doverosamente un’inezia, e subito qualche adulatore le canta un peana come avesse compiuto chissà che cosa; il peana della vittoria sportiva si sente per tutte le vie della città; e la zia ha sempre pronto un peana per il nipote per cui stravede.
Questa è la dimensione in cui vive oggi il peana: il discorso celebrativo, che loda, o che esalta nella vittoria. Si capisce che la radice è antica, e in effetti il tono del suo uso è elevato — be’, se parliamo del peana della vittoria sportiva, forse copriamo qualche spigolo e ruvidità. Ma ecco, a parte queste considerazioni probabilmente il perché di quest’uso non è chiaro.
‘Peana’ è in origine un epiteto, quindi un attributo di una divinità che si fa appellativo, alla lettera ‘il risanatore, il guaritore’. Ormai lo abbiamo imparato: le divinità del pantheon classico non sono chiare e distinte, nello scroscio dei secoli, come quelle di un mondo fantasy dei nostri giorni. Alcune divinità antiche confluiscono in altre, i nomi vengono passati e soppiantati, credenze remote vengono coperte da credenze più recenti di maggior successo, e su tutto trionfano i racconti, che se sono memorabili e celebri fissano concetti e divinità in una certa forma per i secoli a venire.
Dapprima Peone o Peana è una divinità della guarigione — ma la sua consistenza è difficile da afferrare. Non sappiamo nemmeno perché si chiamasse così, abbiamo solo degli indizi che fosse una divinità micenea. Però lo troviamo in Omero in una veste molto particolare: quando Diomede ferisce Ares (ne parlammo considerando l’icore, il sangue degli dèi), è Peone a curarlo — una sorta di dio medico degli dei. Ma dire che è un olimpico secondario è dire poco. Tant’è che un’altra divinità di prima fila, con cui aveva delle analogie, ne ottiene per slittamento il nome. È Apollo. La definizione storica più rappresentativa del peana è proprio quella di canto corale in onore di Apollo.
Quel ‘per slittamento’ non è casuale e merita una considerazione: Apollo, con la sorella Artemide, era (anche) divinità delle pestilenze. In quanto divinità arciere erano figura del dardeggiare della malattia e della morte. Ebbene, capiamo che c’è una certa piaggeria nell’invocarlo come risanatore, oltre che una certa logica.
Quando poi il titolo di Peana, in epoca più tarda, passerà ad Asclepio, dio della medicina, la cosa tornerà però ancora più logica. Inoltre Apollo è un dio vincente, sconfisse Pitone, e il fatto che il peana sia anche un canto di vittoria è a suo modo conseguente — anzi, per simile criterio di scongiuro anticipatorio, è stato anche un canto di battaglia.
Certo, questi intrecci del passato hanno spesso l’aria di un groppo; ma noi consideriamo in un lampo istantaneo accadimenti che si sono srotolati nella pazienza di singoli giorni, brevi come i nostri e innumerevoli. Quindi è normale che i simboli e le idee abbiano subito mutazioni delle più frastagliate, come linee di costa.
Ci resta questa idea di canto magico, canto che guarisce, canto che ringrazia, canto che celebra — e quindi canto che loda ed esalta. Oltre, dalle nostre parti e nei nostri tempi, quando il canto non si canta e non si compone in versi, il peana resta il discorso con questi caratteri: riflesso elegante e fine, apollineo e non di rado ipocrita, di un giubilo di un tempo che fu, in guarigione e in trionfo.
L’amministrazione locale sistema doverosamente un’inezia, e subito qualche adulatore le canta un peana come avesse compiuto chissà che cosa; il peana della vittoria sportiva si sente per tutte le vie della città; e la zia ha sempre pronto un peana per il nipote per cui stravede.
Questa è la dimensione in cui vive oggi il peana: il discorso celebrativo, che loda, o che esalta nella vittoria. Si capisce che la radice è antica, e in effetti il tono del suo uso è elevato — be’, se parliamo del peana della vittoria sportiva, forse copriamo qualche spigolo e ruvidità. Ma ecco, a parte queste considerazioni probabilmente il perché di quest’uso non è chiaro.
‘Peana’ è in origine un epiteto, quindi un attributo di una divinità che si fa appellativo, alla lettera ‘il risanatore, il guaritore’. Ormai lo abbiamo imparato: le divinità del pantheon classico non sono chiare e distinte, nello scroscio dei secoli, come quelle di un mondo fantasy dei nostri giorni. Alcune divinità antiche confluiscono in altre, i nomi vengono passati e soppiantati, credenze remote vengono coperte da credenze più recenti di maggior successo, e su tutto trionfano i racconti, che se sono memorabili e celebri fissano concetti e divinità in una certa forma per i secoli a venire.
Dapprima Peone o Peana è una divinità della guarigione — ma la sua consistenza è difficile da afferrare. Non sappiamo nemmeno perché si chiamasse così, abbiamo solo degli indizi che fosse una divinità micenea. Però lo troviamo in Omero in una veste molto particolare: quando Diomede ferisce Ares (ne parlammo considerando l’icore, il sangue degli dèi), è Peone a curarlo — una sorta di dio medico degli dei. Ma dire che è un olimpico secondario è dire poco. Tant’è che un’altra divinità di prima fila, con cui aveva delle analogie, ne ottiene per slittamento il nome. È Apollo. La definizione storica più rappresentativa del peana è proprio quella di canto corale in onore di Apollo.
Quel ‘per slittamento’ non è casuale e merita una considerazione: Apollo, con la sorella Artemide, era (anche) divinità delle pestilenze. In quanto divinità arciere erano figura del dardeggiare della malattia e della morte. Ebbene, capiamo che c’è una certa piaggeria nell’invocarlo come risanatore, oltre che una certa logica.
Quando poi il titolo di Peana, in epoca più tarda, passerà ad Asclepio, dio della medicina, la cosa tornerà però ancora più logica. Inoltre Apollo è un dio vincente, sconfisse Pitone, e il fatto che il peana sia anche un canto di vittoria è a suo modo conseguente — anzi, per simile criterio di scongiuro anticipatorio, è stato anche un canto di battaglia.
Certo, questi intrecci del passato hanno spesso l’aria di un groppo; ma noi consideriamo in un lampo istantaneo accadimenti che si sono srotolati nella pazienza di singoli giorni, brevi come i nostri e innumerevoli. Quindi è normale che i simboli e le idee abbiano subito mutazioni delle più frastagliate, come linee di costa.
Ci resta questa idea di canto magico, canto che guarisce, canto che ringrazia, canto che celebra — e quindi canto che loda ed esalta. Oltre, dalle nostre parti e nei nostri tempi, quando il canto non si canta e non si compone in versi, il peana resta il discorso con questi caratteri: riflesso elegante e fine, apollineo e non di rado ipocrita, di un giubilo di un tempo che fu, in guarigione e in trionfo.