Icore

i-có-re

Significato Nel mito, sangue delle divinità; pus

Etimologia dal greco ichór ‘sangue degli dei’, ma anche ‘siero, parte leggera del sangue’, forse di origine non indoeuropea.

  • «Dalla mano ferita di Afrodite stillò l'icore.»

Bell’accostamento di significati: il sangue delle divinità e il pus. Come è che si passi dall’uno all’altro lo vedremo (è una storia vecchia), ma intanto concentriamoci sul significato classico e più nobile del termine.

In astratto non è scontato che le divinità abbiano un corpo fisico. Però che quelle del pantheon greco-romano l’avessero è abbastanza chiaro — come avrebbero potuto perpetrare in spirito tutti gli assalti, le vendette, i rapimenti e gli stupri ai danni di esseri umani? Non è un dato che ci sorprende. Ma magari possiamo farci una domanda in più sulla loro fisiologia: bevevano nettare, mangiavano ambrosia, e questo insieme all’astensione dai cibi dei mortali garantiva loro l’immortalità (dice Omero, in maniera un po’ criptica). È appena il caso di notare che comunque abbiamo qualcosa che entra ma non qualcosa che esce — sull’Olimpo pare non ci fossero gabinetti, nonostante a Roma Cloacina proteggesse la cloaca massima e fosse invocata quando servivano gli spurghi, e nonostante Sterculo presiedesse agli escrementi e alla fertilizzazione dei campi.

Avevano una specie di sangue. Un fluido di un biancore traslucido, pare, e sottilissimo. Ma un momento: per dire com’è in qualche momento sarà uscito, no? Ne Il dittatore dello stato libero di Banans Woody Allen dice, controllando una ferita, “Sangue! Strano, dovrebbe stare dentro” e questo dovrebbe essere ancor più vero per delle divinità — l’immortale divinità non è anche invulnerabile? Se spari a Superman le pallottole rimbalzano, ma se tiri una lancia ad Ares?

Non è facile ferire una divinità, ma comunque può succedere. Basti pensare a Prometeo: l’aquila di Zeus mica gli rodeva il fegato in senso figurato. Anzi certe erbe usate dalla maga Medea (quella che aiutò Giasone e gli Argonauti e che è al centro di uno dei drammi più raccapriccianti del mito greco) erano proprio nate dall’icore gocciolante di Prometeo. Ma non solo. Nel V libro dell’Iliade, l’eroe greco Diomede ferisce prima Afrodite a una mano (era intervenuta per salvare Enea, suo figlio), e poi perfino Ares, con l’aiuto di Atena, piantandogli una lancia nel ventre là dove finisce l’armatura — e il dio lancia un urlo che pare quello di diecimila guerrieri, e se ne va a farsi curare sull’Olimpo.
Dato ulteriore, l’icore è velenosissimo per gli esseri umani.

È un termine che ha trovato sempre un ampio spazio in letteratura, anche in quella contemporanea, e nelle narrazioni ludiche. Dopotutto il nodo di un’alternativa al sangue, che investa creature diverse da noi, o che sia figura di un movimento, di un sentimento differente, è molto magnetica — e qui la proposta tradizionale è solidissima, oltre che suggestiva. Si può parlare dell’icore del drago e del demone, dell’icore di una famiglia che si distingue, dell’icore che mi pare di avere nelle vene nel momento di entusiasmo puro. Ma com’è che diventa il pus?

Si potrebbe pensare allo zelo dotto e bislacco di qualche medico seicentesco, che cercando qualche nuovo termine per il gergo scientifico, e pescando sempre nel mar greco, si sia inventato un nesso improbabile fra due umori. Ma probabilmente non è così.
Clemente Alessandrino, teologo e Padre della Chiesa, alla fine del II secolo d.C. (quindi in un’epoca decisamente risalente, manca più di un secolo all’editto di Milano con cui Costantino e Licinio sancirono la libertà di culto) scrisse un celebre Protrettico, un’esortazione ad abbandonare la religione pagana in favore del cristianesimo. In questo documento, che vista la caratura ecclesiastica è rimasto noto e corrente nei secoli e nei millenni a venire, parla male delle divinità pagane, così sensuali e appassionate, e che hanno questo icore: dice che l’icore è più repellente del sangue, anzi che ‘icore’ è il nome della putrefazione del sangue. Questa pare essere farina del suo sacco poetico: di ‘icore’ nell’antichità si parla volentieri, ma lui pare l’unico a tirare fuori questa storia, evidentemente spregiativa.

Quando nel Seicento i medici moderni, quelli che riprendono in mano questa scienza seriamente e con metodo, devono parlare di suppurazioni, ecco che si trovano già una proposta di parola pronta, latinizzata dal greco, con questo slittamento da sangue divino a pus — slittamento che dodici secoli prima era stato incandescente, addirittura sacrilego, e che ora è solo curioso.

Parola pubblicata il 24 Settembre 2022