Etimologia propriamente, participio passato di soffondere, voce dotta recuperata dal latino suffùndere ‘spargere’, composto di sub- ‘sotto’ e fùndere ‘versare’.
Questa è una parola che ci fa capire i limiti delle definizioni che si trovano sui dizionari.
Se mi dicono che ‘soffuso’ significa ‘cosparso lievemente’ resto interdetto (la torta può essere soffusa di cacao?), e se invece me lo spiegano come un ‘diffuso in modo uniforme e tenue’ mi lasciano con la spiacevole sensazione di una fregatura — si vede che quei due, soffuso e diffuso, sono parenti e che è una definizione che si morde la coda: una notizia timida può essere soffusa?
Ci rassegniamo quindi a parlare come al solito delle luci soffuse del ristorante in cui il conto finale ha almeno tre cifre, e a restare nel dubbio riguardo al significato intimo di questo aggettivo. O magari no?
È una parola comune, ma solo in espressioni fisse, come appunto ‘luci soffuse’. Altrimenti non viene maneggiata con disinvoltura e resta un po’ misteriosa. Questo problema di superficialità è un problema comune alle parole della sua famiglia, cioè tutta la schiatta che deriva dal verbo fundere — gente notissima, dal diffondere, al confondere e all’infondere, e meno nota ma gagliarda come profondere e circonfondere, senza contare il fondere stesso.
Già perché noi, che abbiamo una conoscenza del latino che è seconda solo alla nostra furbizia, leggiamo fundere e traduciamo mentalmente come ‘fondere’ — e questo davanti al soffuso ci lascia nello spaesamento di chi guarda la mappa al contrario.
Infatti fundere ha un altro nucleo di significato (quelli che arrivano allo sciogliere e al nostro fondere sono significati seguenti, estesi): significa ‘versare, spargere’, con un taglio che lo porta verso un ‘buttare fuori’. Per intenderci, è un verbo buono per descrivere sangue che esce, anime che se ne involano con l’ultimo respiro, gente tirata a terra nelle risse, eserciti che vengono sgominati, popolazioni di animali che proliferano. Un grado di versatilità ampia, tipica di verboni centrali e molto antichi.
Suffundere significa letteralmente ‘versare sotto’, ed è questa l’immagine a cui dobbiamo aggrapparci. Non è uno spargere chiaro, nel mezzo o sopra, evidente e forte — ha un tono minore. C’è qualcosa che si spande, nel soffuso, che però sembra quasi un filtrare discreto, un colorire in maniera tenue, circoscritta, velata, con un profilo ora da fondo, ora da screziatura.
Se la ‘luce soffusa’ occupa così tanto spazio, nella nostra immaginazione del ‘soffuso’, è anche perché esemplare dei significati di questo aggettivo: la luce soffusa non è una luce che fa vedere bene, che rende netti i contorni delle cose. Una luce diffusa non è diretta ma può anche essere molto intensa, invece la soffusa, senza direzione e in dialogo con l’ombra, è sufficiente a domare lo scuro e il suo disorientamento in un’atmosfera vellutata, avvolgente.
Così un odore soffuso non si impone mulinando contro il naso come il soffrittone promettente o il parfum della persona che evidentemente ci ha fatto un tuffo dentro. È un odore che si coglie, ma che non squaderna la sua origine. E mentre un sospetto diffuso può essere già dilagante, un sospetto soffuso è discreto, condiviso in una cerchia stretta e umbratile, dal profilo incerto.
Inoltre il soffuso può anche essere caratterizzante, un pervasivo delicato, che impronta — come quando il quadro è soffuso di malinconia, la proiezione è soffusa di speranza, il personaggio è soffuso di una rabbia antica. Sempre un ‘versare, spandere sotto’.
Senza contare che classicamente possono essere soffuse di rosso le mie guance quando mi fai i complimenti per la maionese.
Una parola che non mostra difficoltà particolari, e anzi è corrente; però ci porta una concentrazione di sfumature complesse di una ricchezza semplicemente opulenta.
Questa è una parola che ci fa capire i limiti delle definizioni che si trovano sui dizionari.
Se mi dicono che ‘soffuso’ significa ‘cosparso lievemente’ resto interdetto (la torta può essere soffusa di cacao?), e se invece me lo spiegano come un ‘diffuso in modo uniforme e tenue’ mi lasciano con la spiacevole sensazione di una fregatura — si vede che quei due, soffuso e diffuso, sono parenti e che è una definizione che si morde la coda: una notizia timida può essere soffusa?
Ci rassegniamo quindi a parlare come al solito delle luci soffuse del ristorante in cui il conto finale ha almeno tre cifre, e a restare nel dubbio riguardo al significato intimo di questo aggettivo. O magari no?
È una parola comune, ma solo in espressioni fisse, come appunto ‘luci soffuse’. Altrimenti non viene maneggiata con disinvoltura e resta un po’ misteriosa. Questo problema di superficialità è un problema comune alle parole della sua famiglia, cioè tutta la schiatta che deriva dal verbo fundere — gente notissima, dal diffondere, al confondere e all’infondere, e meno nota ma gagliarda come profondere e circonfondere, senza contare il fondere stesso.
Già perché noi, che abbiamo una conoscenza del latino che è seconda solo alla nostra furbizia, leggiamo fundere e traduciamo mentalmente come ‘fondere’ — e questo davanti al soffuso ci lascia nello spaesamento di chi guarda la mappa al contrario.
Infatti fundere ha un altro nucleo di significato (quelli che arrivano allo sciogliere e al nostro fondere sono significati seguenti, estesi): significa ‘versare, spargere’, con un taglio che lo porta verso un ‘buttare fuori’. Per intenderci, è un verbo buono per descrivere sangue che esce, anime che se ne involano con l’ultimo respiro, gente tirata a terra nelle risse, eserciti che vengono sgominati, popolazioni di animali che proliferano. Un grado di versatilità ampia, tipica di verboni centrali e molto antichi.
Suffundere significa letteralmente ‘versare sotto’, ed è questa l’immagine a cui dobbiamo aggrapparci. Non è uno spargere chiaro, nel mezzo o sopra, evidente e forte — ha un tono minore. C’è qualcosa che si spande, nel soffuso, che però sembra quasi un filtrare discreto, un colorire in maniera tenue, circoscritta, velata, con un profilo ora da fondo, ora da screziatura.
Se la ‘luce soffusa’ occupa così tanto spazio, nella nostra immaginazione del ‘soffuso’, è anche perché esemplare dei significati di questo aggettivo: la luce soffusa non è una luce che fa vedere bene, che rende netti i contorni delle cose. Una luce diffusa non è diretta ma può anche essere molto intensa, invece la soffusa, senza direzione e in dialogo con l’ombra, è sufficiente a domare lo scuro e il suo disorientamento in un’atmosfera vellutata, avvolgente.
Così un odore soffuso non si impone mulinando contro il naso come il soffrittone promettente o il parfum della persona che evidentemente ci ha fatto un tuffo dentro. È un odore che si coglie, ma che non squaderna la sua origine. E mentre un sospetto diffuso può essere già dilagante, un sospetto soffuso è discreto, condiviso in una cerchia stretta e umbratile, dal profilo incerto.
Inoltre il soffuso può anche essere caratterizzante, un pervasivo delicato, che impronta — come quando il quadro è soffuso di malinconia, la proiezione è soffusa di speranza, il personaggio è soffuso di una rabbia antica. Sempre un ‘versare, spandere sotto’.
Senza contare che classicamente possono essere soffuse di rosso le mie guance quando mi fai i complimenti per la maionese.
Una parola che non mostra difficoltà particolari, e anzi è corrente; però ci porta una concentrazione di sfumature complesse di una ricchezza semplicemente opulenta.