SignificatoRiferire senza riguardo qualcosa che sarebbe opportuno tacere; di aria, soffiare in una fessura
Etimologia composto parasintetico di piffero, di origine germanica.
Che questo verbo ci conduca a considerare i caratteri del piffero non sorprende, ma la cosa buffa è che nei suoi primi significati ha un compare coetaneo e quasi sinonimo le cui differenze riposano proprio sui caratteri di un diverso strumento: il verbo ‘strombazzare’. Ma andiamo com ordine.
Siamo nella seconda metà del Cinquecento: il piffero è uno strumento a fiato ad ancia doppia in gran voga nella musica popolare, dal suono vibrante e di potenza non indifferente, che a vederlo è simile a un flauto dal padiglione svasato (è parente dell’oboe e della bombarda). Allora pensando allo spifferare (ottenuto dal piffero, con un prefisso intensivo e un suffisso verbale) non dobbiamo immaginare dolcezze flautate: nel suo suono c’è un’allegria rustica, perfino sgangherata, un tono scanzonato — sentimenti più vicini alla fisarmonica e alla zampogna che al flauto. Difatti… difatti il fiato forte e vibrato dello spifferare diventa metaforico referente di un rivelare senza riguardo, senza riserbo, qualcosa che sarebbe opportuno, se non doveroso, tacere.
Classicamente tu mi confidi un segreto e io lo spiffero; il complice che sapevamo essere l’anello debole ha spifferato tutto (e quindi abbiamo fatto bene a dargli informazioni fuorvianti); e speravo di farti una sorpresa ma tua mamma ti ha spifferato la notizia. Ora non usa più, ma lo spifferare era anche un dire in modo franco, aperto, e senza timore delle conseguenze, oltre a un comporre un testo di getto senza cura e un’altra serie di suggestioni che questo sfiatare schietto, forte e vibrante hanno suscitato nei nostri nonni del Rinascimento.
Ci vorranno tre secoli perché questo spifferare prenda anche il significato più sottile e silenzioso del fischiare di vento fra fessure, specie d’infissi. In questa estensione perde il rumore gagliardo del piffero (forse per una scaduta dimestichezza con gli strumenti tradizionali?), e resta un soffio sibilante, sordo; ma conserva la sfumatura importuna dello spifferare precedente: lo spiffero è invadente come lo spifferare.
E lo strombazzare? Si vede come la sgangheratezza di ciò che si vuole evocare qui sia rinforzata dal suffisso ‘-azz-‘: c’è sempre un dire in maniera sconvenientemente aperta, ma la tromba, col suo squillare di metallo, ci riferisce qui un divulgare con grande esagerato clamore, dando risalto eccessivo, pubblicità vanesia (come quando strombazzi ai quattro venti che contratto hai firmato, con chi hai avuto una liaison). Ma è quasi commovente vedere questi due amici musicali che da quattrocentocinquant’anni si dividono la piazza del pettegolezzo e della voce, di ciò che è inelegante riferire e sbandierare.
Che questo verbo ci conduca a considerare i caratteri del piffero non sorprende, ma la cosa buffa è che nei suoi primi significati ha un compare coetaneo e quasi sinonimo le cui differenze riposano proprio sui caratteri di un diverso strumento: il verbo ‘strombazzare’. Ma andiamo com ordine.
Siamo nella seconda metà del Cinquecento: il piffero è uno strumento a fiato ad ancia doppia in gran voga nella musica popolare, dal suono vibrante e di potenza non indifferente, che a vederlo è simile a un flauto dal padiglione svasato (è parente dell’oboe e della bombarda). Allora pensando allo spifferare (ottenuto dal piffero, con un prefisso intensivo e un suffisso verbale) non dobbiamo immaginare dolcezze flautate: nel suo suono c’è un’allegria rustica, perfino sgangherata, un tono scanzonato — sentimenti più vicini alla fisarmonica e alla zampogna che al flauto. Difatti… difatti il fiato forte e vibrato dello spifferare diventa metaforico referente di un rivelare senza riguardo, senza riserbo, qualcosa che sarebbe opportuno, se non doveroso, tacere.
Classicamente tu mi confidi un segreto e io lo spiffero; il complice che sapevamo essere l’anello debole ha spifferato tutto (e quindi abbiamo fatto bene a dargli informazioni fuorvianti); e speravo di farti una sorpresa ma tua mamma ti ha spifferato la notizia. Ora non usa più, ma lo spifferare era anche un dire in modo franco, aperto, e senza timore delle conseguenze, oltre a un comporre un testo di getto senza cura e un’altra serie di suggestioni che questo sfiatare schietto, forte e vibrante hanno suscitato nei nostri nonni del Rinascimento.
Ci vorranno tre secoli perché questo spifferare prenda anche il significato più sottile e silenzioso del fischiare di vento fra fessure, specie d’infissi. In questa estensione perde il rumore gagliardo del piffero (forse per una scaduta dimestichezza con gli strumenti tradizionali?), e resta un soffio sibilante, sordo; ma conserva la sfumatura importuna dello spifferare precedente: lo spiffero è invadente come lo spifferare.
E lo strombazzare? Si vede come la sgangheratezza di ciò che si vuole evocare qui sia rinforzata dal suffisso ‘-azz-‘: c’è sempre un dire in maniera sconvenientemente aperta, ma la tromba, col suo squillare di metallo, ci riferisce qui un divulgare con grande esagerato clamore, dando risalto eccessivo, pubblicità vanesia (come quando strombazzi ai quattro venti che contratto hai firmato, con chi hai avuto una liaison). Ma è quasi commovente vedere questi due amici musicali che da quattrocentocinquant’anni si dividono la piazza del pettegolezzo e della voce, di ciò che è inelegante riferire e sbandierare.