Universale

u-ni-ver-sà-le

Significato Dell’universo; che riguarda tutte le cose e gli esseri; generale; valido in ogni condizione; nella filosofia medievale, parola che indica un’idea

Etimologia voce dotta recuperata dal latino universalis da universus ‘universo’.

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Con questa parafrasi di un verso del De contemptu mundi di Bernardo di Cluny (XII secolo) si chiude il romanzo più famoso di Umberto Eco, Il nome della rosa. Tradotto letteralmente, suona "La rosa originaria esiste (solo) nel nome, possediamo (soltanto) nudi nomi": ogni cosa terrena – splendida o abietta, oscura o illustre – prima o poi svanisce nel nulla, lasciando dietro di sé solo il nome. Ma è impossibile non cogliere un riferimento alla disputa sugli universali in un romanzo il cui eroe evoca chiaramente Guglielmo di Ockham (1288-1347), per il quale fuori dalla mente umana non vi era nulla di universale, nessuna essenza eterna, ma solo enti individuali – soltanto questa o quella rosa, non la rosità come essenza comune di tutte le rose esistenti. Per capire bene, facciamo un bel passo indietro.

Tutto inizia con Socrate, che notoriamente sfiancava gl'incauti interlocutori con domande come "Cos'è la virtù?", "Cos'è il bene?"; e quando essi rispondevano adducendo esempi, obiettava: non ti ho chiesto di citarmi singoli casi di bontà o virtù, voglio sapere cosa sono la Virtù e il Bene in sé. Socrate, insomma, era in cerca del concetto, di quell'entità astratta che accomuna le cose singole. Platone, suo discepolo, chiamerà questi concetti idee, forme eterne in virtù delle quali ogni cosa esistente è ciò che è, in quanto partecipa di quella determinata essenza (una rosa è tale perché riflette – pur imperfettamente – l'idea, l'essenza della rosità). Anche per Aristotele, che pure criticava la teoria delle idee, ogni rosa contiene indubbiamente la rosità, altrimenti non potrei dire di essa "è una rosa". Ma in che senso la contiene? Quando dico che qualcosa è una rosa, oppure – generalizzando ulteriormente – che è un fiore, o una pianta, o un vegetale, queste specie e generi esistono come le singole rose? O sono solo oggetti mentali?

Nella filosofia medioevale, questi termini (rosa, fiore, cavallo, animale ecc.) erano detti universali. Per noi, 'universale' è un aggettivo derivato da 'universo', ma anche quest'ultimo nasce come aggettivo: uni-verso, cioè, letteralmente, volto tutt'intero nella stessa direzione (per questo diciamo l'universo mondo); 'universale', quindi, oltre che 'cosmico', vale 'generale', non specifico, non particolare (donatore universale, chiave universale). Qui, invece, universali va inteso come sostantivo (dal neutro sostantivato universalia, in latino 'cose universali'), nel senso di idee, concetti, essenze. Tra i pensatori medievali, le due posizioni che si fronteggiavano, circa la natura degli universali, erano il realismo e il nominalismo.

Per i realisti, gli universali hanno un'esistenza reale. I più radicali, come Guglielmo di Champeaux, li vedevano come idee platoniche: forme perfette che esistono ante rem, prima delle cose sensibili; i più moderati li concepivano, aristotelicamente, come essenze presenti nelle cose (in re). Tommaso d'Aquino, con salomonica sintesi, sentenziò che essi erano contemporaneamente ante rem (come pensieri nella mente di Dio), in re (in quanto forma immanente delle cose) e post rem ('dopo le cose') come concetti della mente umana. Viceversa, i nominalisti vedono nella realtà solo entità singole, e gli universali come esistenti esclusivamente nel pensiero: Roscellino di Compiègne, maestro di Abelardo, avrebbe addirittura fatto coincidere gli universali con l'emissione di fiato (flatus vocis) con cui li si pronuncia. Abelardo si ribellò a un tale sproposito: gli universali sono sì voces (parole) e non essenze, ma parole che significano le cose, riflettendo, se non già un’essenza, un loro status, una condizione comune per cui ogni rosa può dirsi 'rosa', pur essendo diversa dalle altre.

Guglielmo di Ockham liquidò la discussione a colpi di rasoio, separando nettamente i campi: il mondo è costituito da entità singole, ed esse, non gli universali, sono oggetto di scienza, giacché il reale non si conosce se non empiricamente, basandosi sull'esperienza. Degli universali si occupa invece la logica, alla quale però non interessa che esista o meno ciò su cui indaga: disciplina puramente formale, ha a che fare con termini, non cose.

Guglielmo di Ockham porta un po’ di buonsenso da una vetrata di una chiesa della contea inglese di Surrey — licenza di Moscarlop.

Discussione chiusa, quindi? Non proprio. Nel Medioevo, certo, era in gioco la difesa di fondamentali dogmi cristiani – a partire dalla Trinità divina, incompatibile con la visione nominalistica per cui esistono solo individui (e infatti Roscellino fu accusato di triteismo). Ma il problema degli universali riguarda anzitutto il rapporto tra pensiero, linguaggio e realtà, tra le parole e le cose, e mette in questione la validità della conoscenza umana: corrisponde qualcosa di reale a ciò che diciamo e pensiamo? Se dico che una rosa è bella, in che senso esiste questa bellezza? E l'amore che provo? E i numeri? Altro che questioni medievali: non smetteremo mai di porcele.

Parola pubblicata il 05 Aprile 2022

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.