Vento

vèn-to

Significato Movimento di masse d’aria causato da una differenza di pressione atmosferica; aria, corrente d’aria

Etimologia dal latino ventus, di origine indoeuropea.

Parlare di qualcosa che viviamo costantemente sulla nostra pelle vuol dire parlare di qualcosa di apparentemente semplice, ma le cose si fanno complesse se parliamo del nome che diamo a questo fenomeno, e di come lo usiamo: nella nostra lingua, e perciò nel nostro modo di pensare, usiamo il termine ‘vento’ molto al di là dell’indicazione di un naturale movimento d’aria.

L’aria che tira è ciò che determina la nostra prima sensazione riguardo a ciò che sta accadendo e accadrà. Il vento spicca come elemento foriero per eccellenza, è il primo messaggero che interpelliamo per avere un’impressione sulla situazione, che sia letteralmente quando mettiamo il naso fuori casa o figuratamente quando ci affacciamo in un contesto; forse è secondo solo all’idea data dalla luce, che però ha informazioni molto meno circostanziate — solo dopo ci permetterà di discernere di più con un’analisi visiva.

Muovendosi come un araldo il vento annuncia, suggestiona, e anzi può farsi carico diretto di portare, scacciare, sospingere gli elementi. È un pennello in movimento che dà il fondo, campisce una situazione, ne spiega la direzione, ne porta le energie.

Se prima di cena tira un vento di tempesta già brontolano tuoni, e sarà bene trovare un momento per aprirsi e trovare un motivo di complicità, o la tempesta si abbatterà sulla tavola; se dopo la riunione inizia a spirare un vento di ottimismo, ecco che inizia a muoversi una forza, un’idea, un’impressione condivisa con un profumo nuovo; un vento di primavera non soffia solo nelle giornate assolate di marzo, ma ogni volta che un radioso sentimento di freschezza di pervade.

Ma il vento non è solo questo. È anche un elemento incostante, vagante, che sparge e dissipa, che gonfia vanamente: se spiffero qualcosa ai quattro venti sarà presto di dominio pubblico, se butto al vento tempo e denaro, eccoli perduti, e una persona gonfia di vento è boriosa (in effetti la stessa boria è figlia della borea, del vento di tramontana).

È anche veloce, nel suo muoversi aereo e senza ostacoli. Anzi pare che il velox latino possa essere proprio un derivato di ventus, di origine indoeuropea.


Com’erano alberati
e freschi i suoi pensieri!
Dischiusa la camicetta,
volava, in bicicletta.

Spariva, la bocca commossa,
nel vento della sua rincorsa.

Giorgio Caproni, “Sulla strada di Lucca”, in “Il seme del piangere”

I versi di Caproni sono nati, ha detto lui stesso, “in simbiosi con il vento”. Anche per questo hanno una musicalità tanto spiccata: è dal vento, che così spesso soffia per le strade di Genova, che Caproni bambino ha ricevuto le sue prime lezioni di musica.

Non sorprende quindi che l’aria circoli con forza nelle sue poesie, parlando però con due voci diverse. Nelle notti d’inverno il vento, tagliente come il coltello, trasmette un presagio di morte: è la voce del tempo che tutto rapisce. Alla mattina, però, quando porta con sé l’odore del mare e la luce che riempie frizzando le strade della città, allora è la voce della vita che rinasce e che spinge il cuore verso l’ignoto.

Restare “sospeso nel vento”: questa è la lezione che Caproni ha appreso dalla sua Genova, come narra in Stornello. Il che significa resistere alle sferzate con la forza delle case abbarbicate sulla roccia, ma anche lasciarsi penetrare dalla forza della vita. “Arenaria” e “aria” – solidità e leggerezza – sono i due materiali da costruzione delle città liguri.

Questo ideale si personifica nelle fanciulle che popolano i suoi versi, e che sembrano intessute d’aria: le gonne e le camicette si gonfiano come vele e loro stesse, passando, creano piccole correnti intrise di profumo salmastro.

Tra loro spicca Annina, la madre del poeta, raffigurata nella raccolta Il seme del piangere come una ragazzina che si muove leggera per le strade di Livorno, spesso (che scandalo per l’epoca!) in bicicletta. Anche i suoi pensieri sono freschi come il vento, e il suo solo apparire trasmette una vitalità che ricorda – in chiave più casereccia – la virtù salvifica di Beatrice: “Che voglia di lavorare / nasceva, al suo ancheggiare! / Sull’uscio dello Sbolci, / un giovane dagli occhi rossi / restava col bicchiere / in mano, smesso di bere.” (Quando passava).

Questa creaturina ricca di speranza è il modello che il poeta addita anzitutto a se stesso, sfidandosi a ritrovare per lei le rime più semplici, “rime magari vietate, ma aperte: ventilate” (Per lei). È per lei che, tacitato un poco il rodìo dei ragionamenti, riscopre la bellezza semplice delle cose, dell’aria che riempie i polmoni a ogni respiro.

E per un attimo sembra che la vita possa trascorrere con la leggerezza del vento, con nel cuore sempre la freschezza degli inizi e nelle gambe la voglia di andare: “Anima mia, fa’ in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri” (Ultima preghiera).

Parola pubblicata il 13 Ottobre 2022

Giorgio Caproni, le parole - con Lucia Masetti

Ci avventuriamo insieme in un viaggio insolito — cioè nelle parole di un poeta grande e poco conosciuto del secolo scorso, Giorgio Caproni, a cui dedichiamo una settimana di pubblicazioni a tema.