Avvincere
Scorci letterari
av-vìn-ce-re (io av-vìn-co)
Significato Legare, cingere; sedurre, affascinare
Etimologia dal latino vincìre ‘legare’, rafforzato dal prefisso a-.
Parola pubblicata il 05 Dicembre 2016
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Tutti conosciamo e usiamo comunemente l’aggettivo ‘avvincente’, senza che però sia sempre perspicuo il fatto che si tratta del participio presente di un verbo.
L’etimologia ci presenta l’avvincere come un semplice ‘legare’, che diventa anche un cingere e uno stringere. Per questo si può parlare innanzitutto di propositi avvinti da mille incertezze, della coppia avvinta sulla panchina in un bacio appassionato, dello scalatore che a terra è goffo perché ancora avvinto dall’imbracatura.
La stretta dell’avvincere si traduce figuratamente in un sedurre, in un affascinare - che tiene ineluttabilmente legati: la tal serie televisiva avvince come poche altre, il ballo magnetico avvince gli sguardi dei presenti, l’oratore esperto sa avvincere con aneddoti stupefacenti. Ed è da questo avvincere che scaturisce l’avvincente.
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(Dante, Inferno XVII, vv. 91-96)
I’ m’assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com’io credetti: “Fa che tu m’abbracce!”
Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
con le braccia m’avvinse e mi sostenne.
L’episodio è poco noto, ma lo trovo uno dei più teneri di tutta la Commedia. Dante sta per raggiungere i cerchi più bassi dell’Inferno, dove sono puniti i peccati più gravi (commessi con la piena partecipazione della ragione). Per arrivarci, però, bisogna superare un profondo dislivello. Così Virgilio chiede un passaggio a Gerione, il mostro volante che custodisce il girone: e Dante, comprensibilmente, non è molto entusiasta dell’idea.
Alla fine si rassegna a salire a cavalcioni del mostro, tremando come se avesse la febbre alta (sono parole sue). Virgilio è seduto dietro di lui, e il povero Dante vorrebbe disperatamente un abbraccio (anche perché teme di cadere durante il volo). Ma è talmente terrorizzato che la voce gli resta bloccata in gola. Per fortuna Virgilio, come suol dirsi, conosce il suo pollo, e gli viene in aiuto come ha già fatto in altre circostanze pericolose («ad altro forse»).
Qui dunque troviamo in Virgilio una splendida figura genitoriale, che unisce i caratteri tipici della figura materna e di quella paterna. Innanzitutto egli “abbraccia” tutti i difetti di Dante: non disprezza la sua debolezza, anzi la sostiene con una tenerezza ancor più premurosa. Il sua abbraccio però non è affatto il segno di un rapporto regressivo. Non sottrae Dante alle contraddizioni della vita, bensì lo accompagna nel suo cammino, anche attraverso il male più profondo.
Questa è proprio, secondo lo psicologo Winnicott, la dinamica ideale dei rapporti familiari: il genitore è la “base sicura”, a partire dalla quale il figlio esplora il mondo esterno. Solo così Dante potrà realizzare il suo destino, arrivando alla piena e libera padronanza di sé. «Te sovra te corono e mitrio» gli dirà infatti Virgilio nel paradiso terrestre, poco prima di lasciare il posto ad una nuova forma d’amore: quello per Beatrice.