Autodichia

au-to-di-chì-a

Significato Prerogativa di alcuni organi costituzionali di giudicare sulle controversie relative allo stato giuridico ed economico dei loro dipendenti

Etimologia composto dal greco auto- ‘stesso’ (o più propriamente, nei composti di questo genere ‘di sé stesso’) e dìke giustizia.

È la tipica parola oscura appartenente al gergo del diritto, usata sui giornali e alla televisione senza che nessuno si prenda la briga di spiegare di che cosa si parla.

L’autodichìa è un istituto controverso. Si tratta di una prerogativa che hanno alcuni organi costituzionali - solitamente ci si riferisce ai due rami del Parlamento, che sono il caso più chiaro e scottante - di risolvere controversie attinenti ai propri dipendenti attraverso propri organi giurisdizionali appositamente costituiti, senza ricorrere ai tribunali esterni che solitamente giudicano su queste vicende. Quindi, se l’impiegato o il funzionario di una Camera viene illegittimamente licenziato, non potrà ricorrere al giudice del lavoro, ma dovrà ricorrere al preposto organo di ‘giustizia domestica’.

Originariamente era intesa come una prerogativa necessaria a mantenere intatta quella separazione di poteri su cui si fonda lo Stato: nel caso delle Camere, semplice declinazione di quella massima autonomia di cui deve godere il Parlamento quale legislatore eletto dal popolo. Ma - incredibile sorpresa! - è stato pervertito in uno strumento abusivo, capace di coprire una quantità di rapporti giuridici ed economici che non hanno praticamente alcun nesso funzionale con l’attività svolta dal Parlamento, estendendosi anche ai fornitori di beni e servizi. Insomma, se è il Senato a giudicare su una controversia sulle forniture di carta igienica a Palazzo Madama, c’è un problema.

Ora la prerogativa dell’autodichia parlamentare, nonostante abbia un nocciolo giustificabile, sta scricchiolando sotto spinte diverse: si sono espresse a riguardo la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e la Corte Costituzionale, rendendo sentenze prudenti ma con chiari inviti a riconsiderare l’istituto; e soprattutto, per il sentire comune non è più ammissibile che il Parlamento sia uno Stato indipendente nello Stato.

Parola pubblicata il 04 Novembre 2015