Capezzale
ca-pez-zà-le
Significato Letto di persona malata o moribonda; cuscino; parte del letto vicino alla testata
Etimologia attraverso la voce ricostruita del latino parlato capitiale, da capìtium ‘cosa relativa al capo’, da caput ‘capo’.
- «Gli eredi sono accorsi al suo capezzale, e con gran dolore di tutti, però, non è morto.»
Parola pubblicata il 05 Novembre 2022
Le parole più bizzarre seguono sempre una necessità espressiva — e anche se ha un grado di precisione sorprendente, non è poi strano avere una parola che indica esattamente il letto di una persona malata. Ma la bellezza poetica di questa parola non si esaurisce qui: mettiamola a fuoco meglio.
Il latino capìtium è letteralmente la ‘cosa relativa al capo’ — un termine decisamente generico (senza stranezze derivato di caput, ‘capo’). Infatti nel latino parlato che trascolora in volgare italiano, dà luogo a parole decisamente diverse: pensiamo alla cavezza, capestro e finimento che lega una bestia per il capo, con cui condurla o tenerla alla greppia, ma pensiamo anche al capezzolo, il capo della mammella. Immagini evidenti o comprensibili: ma il capezzale? Non è comunque un letto?
In realtà il capezzale indica una parte specifica del letto, il cuscino, che ovviamente si pone al capo, alla testata del letto. In particolare annotiamo che ha indicato un tipo di cuscino da mettere sotto al lenzuolo inferiore per rialzare il cuscino vero e proprio — ma è un termine che si trova usato con tutta la varietà che il cuscino può aver avuto nell’ultimo millennio. Già la situazione si arricchisce di qualche elemento, ci sono dei dettagli che la poesia collettiva della lingua porta alla nostra attenzione: abbiamo un cuscino alto che sostiene, abbiamo un capo del letto.
Il letto della persona malata mostra una certa fuga prospettica proprio su quel capo, proprio sul viso di quella figura distesa o semidistesa, perché mentre di solito non me ne importa nulla di stare addosso alla gente in un letto (anzi è fortemente importuno) se è un letto di malattia allora calamita la nostra premura, la nostra attenzione, la nostra cura, e il fulcro di questa nostra cura è proprio il volto — che esala richieste e disposizioni (magari testamentarie), che nel colore, nel sudore, nella distensione sembra possa rivelare qualcosa sulla salute intera.
Certo non è una parola con tinte liete, ma questo taglio di significato ci offre una malinconia significativa: è maturato oralmente attraverso secoli in cui la gente del nostro albero genealogico ha vissuto il letto anche quando è stata malata, ferita, moribonda — tant’è che qui ci siamo rimasti solo noi. Così come in uno strato geologico si possono leggere sconvolgimenti ed esplosioni di vita di un tempo che fu, così in questa parola troviamo uno strato di vicende che ci accomunano a una cascata di avi e ave, e ci adombrano i momenti dolenti della loro vita, o della sua fine.
È qualcosa di mesto e vitale che echeggia, sia quando ricordiamo le parole scambiate al capezzale della nonna, sia quando vengo curato al mio capezzale, con 37.5 di febbre e i muscoli indolenziti.