Lavabo
la-và-bo
Significato Acquaio della sagrestia, e ampolla con cui il celebrante si lava le mani durante la messa; parte della messa in cui questo avviene; lavandino per lavarsi mani e viso
Etimologia voce latina, letteralmente ‘laverò’.
- «Lì puoi trovare un lavabo e un asciugamano pulito.»
Parola pubblicata il 30 Dicembre 2023
Parola normalissima, da non considerare nemmeno, non nasconderà niente di interessante, né a livello storico né a livello d’uso. O invece sì?
Be’, il lavabo è quella roba lì, un lavandino, scolatoio senza misteri — se non quelli idraulici. Ma già con questa sola premessa abbiamo due rilievi da fare.
Innanzitutto, è evidente che lavabo e lavandino siano in parenti per parte di lavare. Ma che suffisso è quel -bo con cui termina il lavabo? Ha un’aria più unica che rara.
Chi ha avuto la fortuna di mandare a memoria un po’ di coniugazioni di verbi latini, forse ricorderà — magari in un ricordo scolorito — che è un suffisso verbale, in particolare di una desinenza del futuro semplice. Lavabo è un termine latino crudo, non adattato, e significa precisamente ‘laverò’. Curioso. Di rado abbiamo suppellettili programmatiche, in casa, e il fatto che una vaschetta di ceramica abbia il nome di un proposito pare strano. Infatti non è così.
Il sesto versetto del Salmo 25, nella Vulgata recita Lavabo inter innocentes manus meas (‘laverò le mie mani fra gli innocenti’): la sua centralità era evidente perché pronunciato in un momento molto alto della messa, subito prima della preghiera eucaristica, dopo l’offertorio. Questo, anticipiamolo, è il lavabo che ci interessa.
Però attenzione, il sacerdote non si porta presso l’altare un acquaio — anzi spesso il gesto era (ed è) estremamente stilizzato, ridotto a un’inumidirsi la punta delle dita con un’ampolla (pure nota come lavabo). Come evidenziano i dizionari etimologici più attenti, l’associazione fra versetto e mobile da toeletta nasce in sagrestia: il versetto Lavabo […] era scritto o inciso a decorazione e ispirazione presso gli acquai lavamani delle sagrestie. Quante volte capita che una suppellettile delle nostre case (e non solo) prenda il nome letteralmente dalla scritta che usava esserci sopra? Se le marche non valgono, poche.
Ma ragionavamo di due questioni. La seconda, molto rilevante, nella pratica normale, è l’aura che genera il termine ‘lavabo’. Per indicare una vaschetta di materiale vario atta a raccogliere acqua, per la toeletta e non solo, abbiamo diverse parole, che abbiamo già citato: acquaio, lavello (forse entrambi più da cucina), lavandino… Il lavabo, coi suoi natali liturgici, si conserva elegante. È più votato alla cura di sé, ad abluzioni di mani e viso, piuttosto che a uno scopo operativo o di lavoro — più da bagno, più da camera (magari in veste rétro di pregiata bacinella su treppiede). E non certo bagni e camere che presumano poco di sé. Magari si può trovare anche in un laboratorio, ma l’aura resta quella, senza sbavature: finezza, cura, con eco addirittura rituali. E un prezzo in negozio che naturalmente si distingue — la qualità, si sa, costa.