La vita delle parole è curiosa: possono essere così effimere da essere occasionali, possono durare oltre la lingua e la cultura che le ha ideate, e non è raro che durino in sensi speciali e inattesi ben oltre il tramonto di ciò che descrivono, anche se in forme non vitali.
Il lunario è un oggetto che un tempo era comunissimo: un almanacco, cioè un libretto che contenendo la scansione temporale dell’anno e (qui in particolar modo) delle fasi lunari, insieme a indicazioni meteorologiche, santi patroni, consigli pratici o edificanti, ricette — non senza una dose di oroscopi e predizioni — risultava particolarmente diffuso nelle campagne come prontuario per l’agricoltura e l’allevamento. Un’epitome culturale che è ancora un punto di riferimento.
Nei lavori che seguono i cicli delle stagioni, il lunario finiva per essere un’agenda prescritta che abbracciava un anno intero, e arrivare alla fine del lunario significava quindi arrivare alla fine dei lavori dell’anno, avendo fatto ciò che era atteso, riuscendo a sopravvivere. Non si sa con precisione quando l’analogia fra lunario e anno si è dapprima tessuta, ma nella prima metà dell’Ottocento a questa analogia si associa un verbo destinato a dare al lunario grande visibilità con un’espressione che ormai si è cristallizzata: sbarcare.
Per noi lo sbarcare non ha più tanto il senso figurato di arrivare salvi in porto (lo preferiamo nel tratto di un arrivo nuovo, imprevisto o atteso), ma qui lo ha senz’altro: sbarcare il lunario vuol dire riuscire ad arrivare fortunosamente alla fine dell’anno, campando. L’associazione fra ‘sbarcare’ e ‘lunario’ si è via via irrigidita, e oggi l’espressione ‘sbarcare il lunario’ è cristallizzata. Ci suonerebbe strano dire, in una costruzione appena diversa, che stiamo cercando qualche espediente per sbarcare nella maniera migliore e meno faticosa il nostro lunario — perché in questa maniera si mette in risalto un oggetto, il lunario, che non si sa nemmeno più bene che cosa sia, e tanto meno perché si ‘sbarchi’.
Le espressioni cristallizzate hanno il vantaggio fragile di un automatismo che non solleva domande. Suonano bene e colorite, e possono spopolare per decenni e secoli; ma non essendo più vitali, una crepa alla volta, verranno giù, come una casa abbandonata.
La vita delle parole è curiosa: possono essere così effimere da essere occasionali, possono durare oltre la lingua e la cultura che le ha ideate, e non è raro che durino in sensi speciali e inattesi ben oltre il tramonto di ciò che descrivono, anche se in forme non vitali.
Il lunario è un oggetto che un tempo era comunissimo: un almanacco, cioè un libretto che contenendo la scansione temporale dell’anno e (qui in particolar modo) delle fasi lunari, insieme a indicazioni meteorologiche, santi patroni, consigli pratici o edificanti, ricette — non senza una dose di oroscopi e predizioni — risultava particolarmente diffuso nelle campagne come prontuario per l’agricoltura e l’allevamento. Un’epitome culturale che è ancora un punto di riferimento.
Nei lavori che seguono i cicli delle stagioni, il lunario finiva per essere un’agenda prescritta che abbracciava un anno intero, e arrivare alla fine del lunario significava quindi arrivare alla fine dei lavori dell’anno, avendo fatto ciò che era atteso, riuscendo a sopravvivere. Non si sa con precisione quando l’analogia fra lunario e anno si è dapprima tessuta, ma nella prima metà dell’Ottocento a questa analogia si associa un verbo destinato a dare al lunario grande visibilità con un’espressione che ormai si è cristallizzata: sbarcare.
Per noi lo sbarcare non ha più tanto il senso figurato di arrivare salvi in porto (lo preferiamo nel tratto di un arrivo nuovo, imprevisto o atteso), ma qui lo ha senz’altro: sbarcare il lunario vuol dire riuscire ad arrivare fortunosamente alla fine dell’anno, campando. L’associazione fra ‘sbarcare’ e ‘lunario’ si è via via irrigidita, e oggi l’espressione ‘sbarcare il lunario’ è cristallizzata. Ci suonerebbe strano dire, in una costruzione appena diversa, che stiamo cercando qualche espediente per sbarcare nella maniera migliore e meno faticosa il nostro lunario — perché in questa maniera si mette in risalto un oggetto, il lunario, che non si sa nemmeno più bene che cosa sia, e tanto meno perché si ‘sbarchi’.
Le espressioni cristallizzate hanno il vantaggio fragile di un automatismo che non solleva domande. Suonano bene e colorite, e possono spopolare per decenni e secoli; ma non essendo più vitali, una crepa alla volta, verranno giù, come una casa abbandonata.