Oricalco

o-ri-càl-co

Significato Metallo del mito greco; lega di rame e zinco simile all’ottone; strumento a fiato metallico, ottone

Etimologia voce dotta presa in prestito dal latino orichalcum, a sua volta dal greco oréichalkon, composto di óros ‘montagna’ e chalkós ‘rame’.

Dal mito di Atlantide all’ottone, questa parola riserva molte grandi sorprese. In epoca moderna non è stato così semplice capire di che parlassero gli antichi quando parlavano di ‘oricalco’, perché in certi casi era un metallo leggendario, in altri una lega metallica utile, documentata e relativamente pregevole.

Ad esempio è un metallo di cui si parla nel VI inno omerico (serie di inni attribuiti classicamente a Omero e dedicati agli dèi), riguardo alla nascita di Afrodite, che le Ore ornarono subito con fiori d’oro e d’oricalco; ma soprattutto ne parla Platone nel dialogo Crizia, quello in cui più compiutamente racconta della fondazione e dell’ascesa di Atlantide.

L’isola di Atlantide toccò in sorte a Poseidone; vi viveva, sola, Clito, splendida donna figlia di una coppia di persone nate lì, dalla terra dell’isola. Con lei ebbe cinque coppie di gemelli (i primi furono Atlante e Gadiro), la dinastia che avrebbe lungamente regnato su Atlantide; nei secoli crebbe in forza e splendore, spingendo il proprio dominio fino all’Egitto e alle terre degli Etruschi.

Nella meravigliosa isola, attraversata da anelli di mare concentrici, si trovavano miniere di oricalco — di pregio inferiore solo all’oro. Le mura che proteggevano le terre più interne di Atlantide, dove si trovava anche il tempio di Poseidone, erano rivestite di questo metallo rosseggiante, che pavimentava anche il tempio stesso.

Avanti veloce: siamo nel Duecento e il poeta Cecco Angiolieri rivolge una poesia a Dante, dicendogli che non vuole più cantare della sua Becchina (omologa parodistica di Beatrice), ma lamentarsi del mariscalco, un dignitario della corte angioina che a tutti pare più di quel che è: ch’e par fiorin d’or, ed è di ricalco;/ par zuccar caffettin, ed è salina;/ par pan di grano, ed è di saggina;/ par una torre, ed è un vil balco.

L’oricalco qui è presentato come una versione tarocca dell’oro. E in effetti il nome dell’oricalco, nell’antica Roma, era stato usato per un metallo con cui in età augustea furono coniare monete di valore medio, come il sesterzio; ovviamente non era il misterioso metallo di Atlantide. Con questo nome era chiamata una lega di rame e zinco (etimologicamente, il ‘rame di montagna’), della stessa specie di un ottone di pregio — quindi dall’apparenza dorata e facilmente lavorabile. Dopotutto, anche nell’immaginario mitico, l’oricalco non si è mai discostato troppo da un rame particolarmente fulgente.

E sempre accompagnando l’ottone, l’oricalco è passato a indicare anche gli strumenti a fiato metallici (quelli che di solito chiamiamo, appunto, ‘ottoni’), come le trombe. Quindi se mai sentissimo parlare di uno strepitare di oricalchi sarebbe facile immaginare il suono.

Non è una parola che sia facile spendere. Si tratta di una risorsa molto alta, precisa e limitata. Ma posto che non occupa spazio nell’armadio né in salotto, conservare un termine esatto per fare riferimento ai perduti splendori di Atlantide, invece, è molto interessante.

Parola pubblicata il 13 Febbraio 2020