Plurilinguismo

plu-ri-lin-guì-smo

Significato Compresenza di più lingue nell’uso corrente di una stessa zona, di un gruppo, di un individuo; uso di diversi registri, tipi o livelli di linguaggio, di differenti moduli espressivi o stilistici

Etimologia ottenuto da bilinguismo, con sostituzione del prefisso bi- con pluri-.

Questo concetto ha una portata molto superiore, ed è molto più impattante sulle nostre vite rispetto a quanto si può immaginare.

Infatti comunemente potremmo pensare che il plurilinguismo (ossia l’uso corrente di più lingue) investa solo quelle persone, quei gruppi che correntemente parlano più idiomi, e le zone in cui queste lingue diverse convivono. Che non sono mica poca cosa, ma così il plurilinguismo sa di frontiera, d’incontro, di crogiolo fra modi di parlare (e pensare) diversi — e ci fa pensare ai plurilinguismi di così tante contrade d’Italia, alla compagna di classe con genitori cinesi, alla comunità che si destreggia fra italiano, un paio d’altre lingue europee e una lingua madre che non sappiamo nemmeno riconoscere.

Quella del plurilinguismo è una situazione normale per moltissime persone, ma per quella grande massa di gente che vive le sue giornate in una sola lingua, ha un’aria esotica, e può dare l’impressione d’essere una situazione peculiare e distante — magari perfino faticosa. Ma queste sono specie di un plurilinguismo generale e pervasivo.

Nel nostro microcosmo interiore coesistono e si alternano varietà linguistiche a cui ricorriamo per dire cose diverse in situazioni diverse: a seconda di come risolviamo il problema di dire quello che vogliamo dire, cambia la nostra pronuncia (più vicina a quella della terra dove siamo cresciuti?), il nostro lessico (più forbito ed esatto?), la nostra sintassi (più piana e semplice?). Nei casi più macroscopici, attingiamo a dialetti, o a differenti lingue che alterniamo usualmente.

Il plurilinguismo è un affare che ci riguarda in ogni discorso, e che tocca corde rilevanti della letteratura sì, ma anche della vita comune. In passato (ma è un passato che non è morto) sono stati sostenuti e insegnati modelli di lingua unica, determinati a eradicare ogni inclinazione locale, ogni pretesa bassezza, ogni varietà deviante. L’obiettivo (un obiettivo caro al potere che si vuole perpetuare) è stato l’adesione a un registro unico, aulico, letterario, cancelleresco — e questa è una chiave di lettura essenziale nella ‘questione della lingua’. È il motivo per cui la straordinaria opera di Dante, per lunghissimi secoli, è stata esclusa dai canoni della lingua-modello, e criticata sotto i profili più diversi.

Il plurilinguismo dantesco accoglie voci popolari rozze insieme a voci dotte latine e grecismi, termini tecnici della scienza e della filosofia insieme a termini vernacoli e forestierismi, passi interi in lingue straniere, in lingue inventate, oltre che parole coniate all’occasione. Il suo è un uso della lingua creativo, divergente, difficile da trasmettere e da controllare, oltre che di potenza completa: sconfina in ogni campo in cui crede si trovi l’espressività migliore, che gli permetterà di trasmettere nella maniera più efficace ciò che vuole dire. Questo, nel nostro piccolo, lo facciamo anche noi: a seconda della situazione usiamo espressioni famigliari, il dialetto della nonna, la parola in, la frase di ricercatezza sostenuta, il tecnicismo di lavoro.

Esiste una varietà inafferrabile di modi in cui si può dire una cosa — ogni varietà, con un effetto espressivo diverso. Il plurilinguismo è quindi una realtà di creatività linguistica, e va osservato e coltivato in questa prospettiva.

Parola pubblicata il 25 Novembre 2021