Vispo

vì-spo

Significato Vivace, pieno di vita e di brio; pronto, acuto

Etimologia probabilmente derivato di visto, antico participio passato forte di vivere.

Questo aggettivo entra nei nostri discorsi con freschezza; il suo significato non solo è brillante e smaccatamente positivo, ma dà al discorso intero in cui sia usato un senso di vitalità e prontezza — anche grazie a un suono vigoroso e pungente.

Perciò non stupisce che molti linguisti si siano sbilanciati affermando che ‘vispo’ poteva essere una voce di origine espressiva, onomatopeica. Ma in maniera ormai accreditata (specie in virtù degli studi di Alberto Nocentini), possiamo farci raccontare dal vispo, almeno per un certo tratto di strada, un’altra e più penetrante storia.

Si tratterebbe di un derivato di visto, che in questo caso non è il participio passato di ‘vedere’ che ci attenderemmo, ma il participio passato forte di ‘vivere’. Il participio passato di ‘vivere’ che indicheremmo normalmente è ‘vissuto’, ma alcuni verbi, almeno in certo periodi, hanno fatto convivere delle varianti: quella che accenta il suffisso (viss-ùto) è il participio passato debole, quella che accenta la radice (vìs-to) è il participio passato forte (proprio quello che troviamo nell’occhio pesto e nelle ciliegie un po’ tócche — cioè toccate, sciupate).

Perso il contatto col ‘vivere’, il visto si è trasformato in vispo (forse affermandosi in area senese, magari a questo punto anche seguendo una suggestione fonosimbolica), che è attestato nei primi anni del Seicento.

Il vispo è vivace, e la sua vivacità briosa è ripresa in un essere svegli, pronti, sia nel fisico sia nell’ingegno. Infatti si può parlare di come la collega riesca ad essere eccezionalmente vispa di prima mattina, dell’amico vispo che ha fiutato il rischio, della studentessa vispa che riesce ad anticipare il percorso dell’insegnante, del cameriere vispo che è da te prima che tu ti muova per chiamarlo.

Attributo positivo in sé, rende gradevole e colorita la frase in cui è usato — con quell’umbratile compiacimento implicato dal fatto che per riconoscere vispo qualcuno si deve in una certa misura essere vispi a nostra volta.

Infine, dobbiamo considerare il convitato di pietra che deve entrare in questo discorso fin dal suo principio: la vispa Teresa. È una figura ormai del tutto scontornata, che sappiamo vagamente essere protagonista di una filastrocca che con quelle parole si apre. Ebbene, fu scritta a metà Ottocento da uno scrittore ormai oscuro — Luigi Sailer, di cui sopravvive solo questa larva — e racconta di questa vispa Teresa che cattura una farfalla e poi impietosita la libera. Il famoso poeta Trilussa, nel 1917, continuò ironicamente la filastrocca, descrivendo una vispa Teresa cresciuta, in cui quel ‘vispa’ prende connotati maliziosi. Non è l’opera più acuta di Trilussa. E insomma, l’indimenticabile vispa Teresa è del tutto dimenticabile.

Parola pubblicata il 08 Giugno 2020