Etimologia propriamente participio presente di abbacinare, derivato di bacino, inteso come recipiente metallico, in riferimento a un supplizio che accecava.
Il tempo smussa la roccia e le parole.
Nella selezione delle parole più composte, eleganti e icastiche del nostro vocabolario ne sopravvivono alcune — amate e apprezzate — che nascono nella violenza, forgiate in un orrore ributtante e scomposto (ne avevamo parlato con l’accorare e la sua dolcezza). La lingua ha una certa indulgenza. È anche il caso dell’abbacinante, così poetico e immediato.
L’aggettivo ‘abbacinante’ ci parla di un’esperienza ricorrente, per chi ha la vista: ci sono situazioni in cui una luce intensa, specie se squarcia improvvisamente il buio o è moltiplicata da un gioco di riverberi, impedisce dolorosamente di vedere, e arriva a lasciare nel più smarrito disorientamento.
Possiamo parlare della neve abbacinante della pista da sci, dell’abbacinante paesaggio siciliano o andaluso d’agosto, dei riflessi abbacinanti del mare nell’insenatura di ciottoli chiari — ma anche, figuratamente, della bellezza abbacinante di una persona, della perfezione abbacinante di un edificio antico, dell’abbacinante parabola sportiva dell’atleta. Come la luce impetuosa, anche la meraviglia impetuosa quasi ci spinge a farci solecchio.
Perché l’abbacinante raffigura un grado di luminosità che non è più chiarificatrice, accogliente, ma ferisce gli occhi. Ferisce gli occhi. Qui chiede di poter intervenire l’etimologia.
Facciamo ognora i conti con le brutalità evidenti dei nostri giorni, e dire che il passato era più o meno brutale di oggi richiede il discernimento di un’infinità di circostanze. Piuttosto, forse, possiamo dire che la brutalità riusciva a toccare picchi fantasiosi e sofisticati in maniera più disinvolta di quel che accade ai nostri giorni. E lo vediamo nelle soluzioni tradizionali rese allo stringente problema di come accecare qualcuno.
Ora, il bacino per noi non è più tanto il nome di un oggetto domestico — lo è piuttosto diventato il derivato ‘bacinella’: il bacino ci parla più solitamente di una concavità geografica, o della parte inferiore del nostro busto, che tiene il corpo come un vaso. Ed è in effetti questo che indicava il ‘bacino’: un normale recipiente metallico — addirittura anticamente di legno, con un nome di probabile ascendenza celtica.
Ebbene, il recipiente metallico si presta ad essere arroventato, sul fuoco o contenendo braci, e la sua concavità rovente, accostata a un occhio, può facilmente disseccarlo quel che basta per togliergli la vista. Niente spargimenti di sangue (più o meno).
È da questo supplizio, proprio di un lunghissimo passato (il termine è attestato già nel Duecento) in cui l’inflizione della cecità era considerata un tormento normale, per di più funzionale a ridurre all’innocuità, che traiamo l’immagine dell’abbacinante — in un registro linguistico di quel genere alto ma non troppo, che impressiona per capacità evocative.
E non è difficile intendere perché prende anche il senso di ‘che confonde’. Se un certo tipo di lusinga per me è abbacinante, se mi vengono fatte offerte abbacinanti, se viene condotta una polemica abbacinante, il risultato — premeditato o no — sono illusione e confusione: alla mia attenzione sono presentate realtà troppo accese, attraverso cui non riuscirò a veder chiaro.
E questo lo sappiamo, avviene anche con certi sinonimi, con l’abbagliante, con l’accecante; ma il tratto è sottilmente diverso. L’abbagliante ci rappresenta una situazione più mobile, un momento da faro nella notte, e forse una luce più diretta, dalla fonte più precisa — l’abbacinante ha una sfocatura più ampia. E ha una temporaneità intrinseca che l’accecante, con la sua esagerazione spesso prosaica, non ha.
Una parola che non è semplicemente ricercata, raffinata: si è rifatta una certa raffinatezza a partire da un momento di orrore che adesso, a leggerla, non è più perspicuo.
Il tempo smussa la roccia e le parole.
Nella selezione delle parole più composte, eleganti e icastiche del nostro vocabolario ne sopravvivono alcune — amate e apprezzate — che nascono nella violenza, forgiate in un orrore ributtante e scomposto (ne avevamo parlato con l’accorare e la sua dolcezza). La lingua ha una certa indulgenza. È anche il caso dell’abbacinante, così poetico e immediato.
L’aggettivo ‘abbacinante’ ci parla di un’esperienza ricorrente, per chi ha la vista: ci sono situazioni in cui una luce intensa, specie se squarcia improvvisamente il buio o è moltiplicata da un gioco di riverberi, impedisce dolorosamente di vedere, e arriva a lasciare nel più smarrito disorientamento.
Possiamo parlare della neve abbacinante della pista da sci, dell’abbacinante paesaggio siciliano o andaluso d’agosto, dei riflessi abbacinanti del mare nell’insenatura di ciottoli chiari — ma anche, figuratamente, della bellezza abbacinante di una persona, della perfezione abbacinante di un edificio antico, dell’abbacinante parabola sportiva dell’atleta. Come la luce impetuosa, anche la meraviglia impetuosa quasi ci spinge a farci solecchio.
Perché l’abbacinante raffigura un grado di luminosità che non è più chiarificatrice, accogliente, ma ferisce gli occhi. Ferisce gli occhi. Qui chiede di poter intervenire l’etimologia.
Facciamo ognora i conti con le brutalità evidenti dei nostri giorni, e dire che il passato era più o meno brutale di oggi richiede il discernimento di un’infinità di circostanze. Piuttosto, forse, possiamo dire che la brutalità riusciva a toccare picchi fantasiosi e sofisticati in maniera più disinvolta di quel che accade ai nostri giorni. E lo vediamo nelle soluzioni tradizionali rese allo stringente problema di come accecare qualcuno.
Ora, il bacino per noi non è più tanto il nome di un oggetto domestico — lo è piuttosto diventato il derivato ‘bacinella’: il bacino ci parla più solitamente di una concavità geografica, o della parte inferiore del nostro busto, che tiene il corpo come un vaso. Ed è in effetti questo che indicava il ‘bacino’: un normale recipiente metallico — addirittura anticamente di legno, con un nome di probabile ascendenza celtica.
Ebbene, il recipiente metallico si presta ad essere arroventato, sul fuoco o contenendo braci, e la sua concavità rovente, accostata a un occhio, può facilmente disseccarlo quel che basta per togliergli la vista. Niente spargimenti di sangue (più o meno).
È da questo supplizio, proprio di un lunghissimo passato (il termine è attestato già nel Duecento) in cui l’inflizione della cecità era considerata un tormento normale, per di più funzionale a ridurre all’innocuità, che traiamo l’immagine dell’abbacinante — in un registro linguistico di quel genere alto ma non troppo, che impressiona per capacità evocative.
E non è difficile intendere perché prende anche il senso di ‘che confonde’. Se un certo tipo di lusinga per me è abbacinante, se mi vengono fatte offerte abbacinanti, se viene condotta una polemica abbacinante, il risultato — premeditato o no — sono illusione e confusione: alla mia attenzione sono presentate realtà troppo accese, attraverso cui non riuscirò a veder chiaro.
E questo lo sappiamo, avviene anche con certi sinonimi, con l’abbagliante, con l’accecante; ma il tratto è sottilmente diverso. L’abbagliante ci rappresenta una situazione più mobile, un momento da faro nella notte, e forse una luce più diretta, dalla fonte più precisa — l’abbacinante ha una sfocatura più ampia. E ha una temporaneità intrinseca che l’accecante, con la sua esagerazione spesso prosaica, non ha.
Una parola che non è semplicemente ricercata, raffinata: si è rifatta una certa raffinatezza a partire da un momento di orrore che adesso, a leggerla, non è più perspicuo.