Apoteosi

a-po-te-ó-si

Significato Cerimonia di deificazione; celebrazione, esaltazione, trionfo; grandioso spettacolo

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo apotheòsis, dal greco apothéosis ‘divinizzazione’, derivato di apotheóo ‘divinizzare’, a sua volta da theós ‘dio’ col prefisso apo-, che qui indica un cambiamento.

È il destino massimo, non c’è sorte immaginabile che abbia gloria ulteriore. In effetti non è un concetto particolarmente sottile o difficile da cogliere, e capiamo bene perché continuiamo a ronzarci intorno.

Quando abbiamo ragionato di catasterismi abbiamo considerato alcuni casi enigmatici e madornali di apoteosi: si tratta di una divinizzazione. Ma qui ci serve un addentellato storico che è rimasto significativo in modo esemplare.

Forse qualcuno saprà che gli imperatori romani non erano persone qualunque (almeno, secondo loro e chi li seguiva). In particolare erano dotati di un genio, una sorta di nume tutelare che permetteva loro di essere adorati in vita per interposto spirito; inoltre, appena morti, se erano stati sufficientemente simpatici, o se per qualche motivo politico e successorio fosse stato importante osannarli, potevano essere deificati — e qui il culto imperiale trovava la sua acme, posto che a questo punto venivano loro eretti templi, formati collegi sacerdotali dedicati e via dicendo. Beninteso, questo non significa che non ci fossero frange della popolazione, specie erudite, che spernacchiavano culti del genere.

Questo processo era chiamato, per carismatica tradizione greca, apoteosi.
A vederla, questa parola ha una parte chiara e una meno chiara. Che theós valga ‘dio’ è abbastanza noto; invece è disorientante quell’apo-, perché di solito indica separazione, ‘via da’ — ma se il greco non avesse uno strabilio di casi particolari ed eccezionali, forse, non si farebbe amare allo stesso modo. Qui apo- ci parla di un cambiamento (concetto che intuitivamente echeggia un genere di separazione), e quindi stiamo parlando di un’acquisizione di caratteri divini, se non proprio di una trasformazione in divinità.

Un processo, dicevamo. C’è forse chi si domanderà com'è che si faccia un’apoteosi, allora. Ebbene, innanzitutto l’apoteosi si decretava a livello politico — ad esempio poteva essere una decisione del Senato. Ma ecco, senz’altro è la grande celebrazione, così ricca di simbolismi ancora comprensibilissimi, ad aver lasciato il segno. Come esemplifica lo storico Erodiano, veniva creata un’effigie del defunto di cera, vestita e ornata come l’imperatore morente; questa dopo riti di esposizione con una vasta partecipazione comunitaria veniva bruciata su una pira sacra, con la contestuale liberazione di un’aquila, simbolo di Giove e dell’ascensione. In questo modo il fu imperatore — da qui in poi noto come divus, ‘divo’ — assurge alle altezze celesti e al pantheon.

Non dovevano essere cerimonie sobrie, anzi dovevano spiccare per fasti trionfali — tanto che l'apoteosi segue una progressione dei significati non dissimile proprio dal trionfo.
Da un lato è una glorificazione di qualcuno o qualcosa che raggiunge (o si narra raggiunga) un massimo quasi trascendente — in una celebrazione esaltata e totale. Pensiamo all'apoteosi di Napoleone che s’incorona a Notre Dame, ma anche all’apoteosi che l’amica fa del successo del ragazzo che le piace, senza contare che (continuando sul crinale analogo a quello del trionfo) questa torta è l’apoteosi del gusto. E però in questa faccenda spicca anche un risvolto più puramente spettacolare — quindi anche quella del concerto sbalorditivo di cui si parlerà per decenni è un’apoteosi, e quella del tramonto può essere un'apoteosi di colori, nonostante non ci sia effetti niente e nessuno che sta salendo ontologicamente di grado, da mortale a dio.

Poi su questa parola possiamo trovar cuciti altri significati specifici, come quelli teatrali — nel teatro greco la trasmutazione scenica dell’eroe in dio sul finale, come anche il finale collettivo, allegorico e spumeggiante delle coreografie ottocentesche. Ma sono espressioni della versatilità nucleare di questa raffinatissima parola: quando si attinge all’altezza archetipica di un destino trascendente e dello spettacolo relativo, si aprono molte porte. E con che gusto!

Parola pubblicata il 28 Agosto 2024