Genio

Leopardi spiega parole

gè-nio

Significato Nel mondo romano, spirito tutelare che vigilava sulla vita di ogni essere vivente, dalla nascita alla morte, o su quella di una famiglia, una città, un popolo, una nazione; per estensione, nome generico di spiriti, folletti o demoni dotati di poteri magici; talento, attitudine, disposizione naturale verso qualcosa; gradimento, gusto personale; intelligenza o facoltà creatrice straordinarie, proprie di pochi individui, e per estensione la persona che ne è dotata

Etimologia dal latino genius ‘nume tutelare, divinità protettrice’, derivato di gignere ‘generare, produrre, far nascere’.

  • «Mi dispiace, ma quel ragazzo non mi va proprio a genio.»

Nell’antica religione romana il mondo degli uomini era animato da entità che abitavano regni invisibili ma non per questo meno reali. I Genii erano considerati degli Spiriti tutelari benevoli, a metà strada tra mondo umano e divino, che vigilavano sull’esistenza degli uomini e di tutte le creature viventi: essi erano ovunque e ovunque potevano essere pregati e onorati con offerte votive.
Ad accompagnare ogni uomo nel corso della propria esistenza, dalla nascita alla morte, c’era il Genius Natalis, il Genio personale, un angelo custode ante litteram; il Genius Loci era invece l’anima di un luogo, lo Spirito che abitava e tutelava un determinato territorio. Si avevano poi i Genii degli elementi naturali, delle arti, dei mestieri, e così quelli di intere famiglie, popoli (Genius Populi Romani), e non poté ovviamente mancare il Genio dell’Imperatore (Genius Augusti).

Da questo nucleo originario, genio si è poi esteso a indicare più genericamente degli spiriti dotati di poteri magici: come non ricordare la performance del simpaticissimo Genio azzurro che, ispirato al personaggio del racconto “Aladino e la lampada meravigliosa” di Le mille e una notte, è senz’altro tra i più amati personaggi dinseyani - complice anche il doppiaggio di Gigi Proietti.

Ma come si è passati da questo mondo di spiriti e magia al modo in cui oggi si utilizza più comunemente la voce genio?
Guardando all’etimologia del termine, la voce latina genius deriva dal verbo gignere ‘generare’: il genio è qualcosa di generato insieme alla persona, si identifica con lei e fa parte delle sue caratteristiche naturali. Lo stesso Genius Natalis nasce di fatto con l’individuo ed è depositario della sua personalità.
Non stupisce dunque che il termine genio sia poi arrivato a indicare le particolari inclinazioni di un individuo, i suoi talenti e attitudini (“avere genio per gli affari, per l’arte, ecc.”), oppure i suoi gradimenti e gusti personali (“un abito, un colore, un film di mio genio”) – da cui l’espressione piuttosto diffusa di “andare a genio a” nel senso di essere gradito a qualcuno.
E come già in latino, ​​​​​​non si tratta soltanto di individui: genio viene impiegato anche nel senso di carattere proprio e distintivo di un popolo, di una nazione, oppure di una lingua, come quell’insieme di tratti precipui che contraddistinguono qualcosa.

È sul cammino intrapreso dal genio nel mondo dei talenti che a un certo punto ha incontrato e fatto sua l’accezione che ci oggi ci è più familiare, quella cioè di un’intelligenza straordinaria, di quell’eccezionale potenza creatrice (ed ecco qui risuonare quella parentela col gignere che è tanto generare quanto creare) propria soltanto di pochi individui per un’innata virtù: così il genio di Mozart, di Michelangelo, di Dante, ecc. Il passaggio è poi repentino, e geni furono definiti direttamente coloro che di questa eccezionalità sono dotati: “Einstein fu un genio senza precedenti”.
Nel nostro uso odierno, quando dispensata dal descrivere i più eccelsi spiriti della storia umana, è facile incontrare tale accezione in abiti iperbolici: possiamo disinvoltamente dare a qualcuno del genio anche se non ha scoperto nessuna legge della fisica.

Benché il significato che oggi risuona maggiormente alle nostre orecchie sia quest’ultimo, la sua diffusione non fu immediata e incontrò anzi alcune resistenze. Leopardi torna più volte nel suo Zibaldone a lamentare il fatto che tale voce, così come altre, non venisse accettata dai puristi della lingua in questo senso in cui era universalmente impiegata e compresa da tutti (sopratutto nell’uso francese di génie), solamente poiché non se ne trovavano esempi d’uso negli antichi autori italiani:

Osservate, per esempio, le parole genio, (…) ecc. e tante simili, che tutto il mondo intende, tutto il mondo adopera in una stessa e precisa significazione e il solo italiano non può adoperare (o non può in quel significato), perché? perché i puristi le scartano e perché i nostri antichi, non potendo aver quelle idee, non poterono pronunziare né scrivere quelle parole in quei sensi.

Forse avrebbe sollevato un po’ Leopardi il sapere che, non molto tempo più tardi, la voce genio si sarebbe invece ben diffusa in quel senso di cui rivendicava l’uso e anche che, non di rado, sarebbe stata impiegata per riferirsi proprio al suo tanto acuto quanto sensibile (e spesso incompreso) genio.

Parola pubblicata il 03 Aprile 2023

Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni

Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.