Etimologia propriamente, participio presente di esigere, voce dotta recuperata dal latino exigere ‘far uscire fuori’, derivato di àgere ‘condurre’ col prefisso ex- ‘fuori’.
È una parola complessa, ricca di implicazioni che sentiamo in maniera insieme intensa, immediata e nebulosa.
Il significato secco da dizionario dice poco: è esigente chi esige, chi pretende — e grazie, è il participio presente di ‘esigere’, che deve voler dire?
Il fatto è che l’esigente esige molto. Lo esige da sé, lo esige dagli altri.
Riconosciamo benissimo il suo profilo: eternamente insoddisfatto, perfezionista, sofisticato nel desiderio e nell’ambizione. Vuole più di quel che ha, e ha gusti difficili: è pignolo e non si può contare sulla sua indulgenza. Pretende di essere accontentato ma non si accontenta. È perentorio, nell’esigere — perfino imperioso, nella misura di una critica raffinata, ricercata. Dopotutto non batte mica i piedi, non dispiega mica criteri volgari, nel suo giudizio.
L’esigente non è simpatico. Anzi. Spesso, nei fatti, si comporta da fetente.
L’esigente autentico vive in un Olimpo esclusivo, egoista; il suo slancio di perfezione lo eleva ad altezze che sono inarrivabili, per il popolo bracalone, che attraversa la vita rabberciando tutto alla meno peggio. Sa che l’ottimo è nemico del buono, e anche lui lo è, perché il buono è mediocre, una schifezza plebea.
A molta gente presuntuosa e pretenziosa piace pensare d’essere esigente, di essere gente che non si accontenta, che non scende a compromessi, gente per cui solo il meglio è accettabile.
Il profilo del cliente esigente è lusinghiero — non è un boccalone a cui puoi vendere ciarpame d’ogni sorta, tanto non ha gusto. È il cliente che ti guarda negli occhi e manda indietro il vino, il piatto, anche più volte. (Che atto insieme sofisticato e arrogante!) Difatti spesso le imprese promuovono i proprii prodotti come adatti ai clienti più esigenti.
Il profilo dell’insegnante esigente è reverendo. Sa il valore della conoscenza, sa dove deve porre l’asticella — poco male se la sua docenza viene ricordata universalmente come un’inconsutile umiliazione. Anzi: spesso gli epiteti meno compassati, che fioriscono nella sua descrizione d’insegnante inflessibile, trovano nell’esigente un equilibrio diplomatico, eufemistico.
Il profilo della lettrice esigente da un lato è raffinato, si muove in maniera esperta fra classici e novità, e la casa editrice a cui è affezionata è sempre molto attenta a non sbracare; dall’altro magari è incline allo svilimento — non di rado è bene evitare di dire davanti a lei che abbiamo gradito un certo libruccio senza pretese, o se lo facciamo è con un certo imbarazzo.
L’esigente ispira (o vuole ispirare) soggezione, nella sua inesausta ricerca di ciò che non ha, dell’eccellenza. Non è certo un carattere semplice, che si liquidi nel positivo o nel negativo. La stessa azione del chiedere molto, dopotutto, è ambigua, e se la spartiscono boria e saggezza, eleganza e vanità.
È una parola complessa, ricca di implicazioni che sentiamo in maniera insieme intensa, immediata e nebulosa.
Il significato secco da dizionario dice poco: è esigente chi esige, chi pretende — e grazie, è il participio presente di ‘esigere’, che deve voler dire?
Il fatto è che l’esigente esige molto. Lo esige da sé, lo esige dagli altri.
Riconosciamo benissimo il suo profilo: eternamente insoddisfatto, perfezionista, sofisticato nel desiderio e nell’ambizione. Vuole più di quel che ha, e ha gusti difficili: è pignolo e non si può contare sulla sua indulgenza. Pretende di essere accontentato ma non si accontenta. È perentorio, nell’esigere — perfino imperioso, nella misura di una critica raffinata, ricercata. Dopotutto non batte mica i piedi, non dispiega mica criteri volgari, nel suo giudizio.
L’esigente non è simpatico. Anzi. Spesso, nei fatti, si comporta da fetente.
L’esigente autentico vive in un Olimpo esclusivo, egoista; il suo slancio di perfezione lo eleva ad altezze che sono inarrivabili, per il popolo bracalone, che attraversa la vita rabberciando tutto alla meno peggio. Sa che l’ottimo è nemico del buono, e anche lui lo è, perché il buono è mediocre, una schifezza plebea.
A molta gente presuntuosa e pretenziosa piace pensare d’essere esigente, di essere gente che non si accontenta, che non scende a compromessi, gente per cui solo il meglio è accettabile.
Il profilo del cliente esigente è lusinghiero — non è un boccalone a cui puoi vendere ciarpame d’ogni sorta, tanto non ha gusto. È il cliente che ti guarda negli occhi e manda indietro il vino, il piatto, anche più volte. (Che atto insieme sofisticato e arrogante!) Difatti spesso le imprese promuovono i proprii prodotti come adatti ai clienti più esigenti.
Il profilo dell’insegnante esigente è reverendo. Sa il valore della conoscenza, sa dove deve porre l’asticella — poco male se la sua docenza viene ricordata universalmente come un’inconsutile umiliazione. Anzi: spesso gli epiteti meno compassati, che fioriscono nella sua descrizione d’insegnante inflessibile, trovano nell’esigente un equilibrio diplomatico, eufemistico.
Il profilo della lettrice esigente da un lato è raffinato, si muove in maniera esperta fra classici e novità, e la casa editrice a cui è affezionata è sempre molto attenta a non sbracare; dall’altro magari è incline allo svilimento — non di rado è bene evitare di dire davanti a lei che abbiamo gradito un certo libruccio senza pretese, o se lo facciamo è con un certo imbarazzo.
L’esigente ispira (o vuole ispirare) soggezione, nella sua inesausta ricerca di ciò che non ha, dell’eccellenza. Non è certo un carattere semplice, che si liquidi nel positivo o nel negativo. La stessa azione del chiedere molto, dopotutto, è ambigua, e se la spartiscono boria e saggezza, eleganza e vanità.