Mistico
mì-sti-co
Significato Relativo all’esperienza del divino compiuta per vie non razionali e analitiche; caratterizzato da forte spiritualità, da dedizione; totalizzante, pieno
Etimologia voce dotta recuperata dal latino mysticus, dal greco mystikós ‘relativo ai misteri, arcano’, derivato di mýstes ‘iniziato’, da mýo ‘esser chiuso’ .
Parola pubblicata il 08 Novembre 2024
Il fatto che sia una parola corrente è curioso: dovrebbe crescere in una parte impervia e quasi inaccessibile dell’esperienza umana, no? Ma esistono molti modi d’intendere il mistico, che come tanti misteri iniziatici sa anche farsi abbastanza a buon mercato.
Mistero: questa è la pianta etimologica del mistico. Il greco mýstes indica la figura dell’iniziato, di chi ha avuto accesso al chiuso di un segreto — il segreto dell’accesso al divino. Deriva dal verbo mýo, che è proprio ‘essere chiuso’, e che ritroviamo in maniera più spiccia (ma forse non meno poetica) nella ‘miopia’, che letteralmente è il tenere gli occhi chiusi, al modo in cui le persone miopi li strizzano per vedere un po’ meglio.
Ora, il mistico è originariamente ciò che è relativo a questi misteri esclusivi, e di conseguenza ciò che è arcano, ciò che ha un significato occulto. Ma di qui attenzione, perché il paradigma in cui nasce questo mistico è particolare, mentre noi questo concetto lo applichiamo in generale, tanto alle religioni classiche, quanto a quelle abramitiche, quanto a quelle orientali e a un’intera galassia di spiritualità disparate — quindi ci aspetta un salto.
In particolare il mistico — che come si può immaginare, in italiano è emerso in un orizzonte cristiano — riflette la disposizione per cui si tenta l’esperienza del divino per vie non analitiche e non razionali. È un reame di intuizioni, di meditazioni, di sentimenti, di silenzi; la sua geografia è fatta di simboli, di allegorie, di pratiche, di distacchi; i suoi approdi sono accessibili allo slancio dell’esperienza umana, e però non sono comunicabili in prosa. Il mistico ha perso quella parte più propriamente iniziatica che era tanto cara al mondo antico, ai culti orfici, pitagorici, mitraici, a quelli di Iside e di Demetra e Persefone — resta il velato che può essere rivelato nell’esperienza personale, anche senza intermediazioni.
Certo che questa esclusione della razionalità, per quanto sia rivolta ad esperienze ultime, mostra qualche fragilità: il mistico ha spesso un’intensità totale, che se da un lato può invitare una dedizione assoluta e trascendente, dall’altra può suscitare un’adesione fanatica.
Così, sentiamo che varietà. Posso parlare di come un pellegrinaggio sia stato un’esperienza mistica, o della trasformazione mistica narrata nel mito o compiuta nella liturgia; posso parlare delle allegorie mistiche rappresentate nell’affresco, o della simbologia mistica del testo poetico; posso parlare di una corrente mistica di una religione, o ascoltare i discorsi di mistici e mistiche che hanno intrapreso un percorso d’ascesi; posso parlare della bellezza mistica di una persona, della mistica bontà di un tiramisù; posso parlare del fervore mistico con cui l’amico si è buttato nella nuova impresa di solidarietà, della determinazione con cui l’amica ha abbracciato una nuova pratica mistica; posso parlare dell’adesione mistica a un’ideologia, della fiducia mistica nella guida carismatica di un movimento o di un partito.
È una parola pronta, capace di intridere i nostri discorsi nei contesti più disparati, anche se insiste su quella parte postrema d’esperienza che è ineffabile. Curioso come questo volto del mistero, plasmato all’ingresso di riti perduti, riesca ad essere così versatile. Forse è un segno della vicinanza pervasiva del mistico.