Peloso

pe-ló-so

Significato Ricoperto di peli; senza scrupoli, che agisce per interesse

Etimologia dal latino pilosus, da pilus ‘pelo’.

Non che sia una parola in sé che sorprende e sgomenta — nemmeno l’etimologia riserva sorprese. Suvvia! Il peloso è peloso, dotato di peli, attributo per gambe, gatti, maglioni, pesche (se non usiamo il più fine tomentoso). E però è una parola che in certi usi (si vocifera) echeggia narrazioni sorprendenti. Ad esempio, perché si parla di ‘carità pelosa’ per parlare di una facciata di carità, senza merito perché sotto è egoista e mira al proprio tornaconto?

Siamo nel 1066. Il buon re anglosassone Edoardo il Confessore muore, avendo designato come proprio erede il cugino Guglielmo, duca di Normandia. Harold conte di Wessex, però, tenta il colpo di mano, e si fa incoronare prima. Guglielmo allora organizza una spedizione militare — con l’approvazione di Papa Alessandro II — attraversa la Manica, sconfigge Harold nella battaglia di Hastings, si conquista l’epiteto ‘il conquistatore’ e diventa re d’Inghilterra, inaugurando una nuova dinastia. È da qui che tanti termini di origine latina entrano in inglese: Guglielmo era di fatto francese, e francese parlava la nuova élite. («Di peli in questa storia però nemmeno l’ombra» «Un momento!»)

C’è chi riporta che papa Alessandro, investito della richiesta di aiuto da Guglielmo, gli abbia mandato una santa reliquia, un anello coi peli («Visto?») della barba di San Pietro. Un’offerta impressionante, ma — c’è chi nota — forse materialmente un po’ poverina, specie a fronte del gran potere che Guglielmo, vittorioso, gli avrebbe poi fatto esercitare sull’Inghilterra, e mossa solo da questa prospettiva egoistica. «Di qui il detto ‘carità pelosa’...» concludono diverse fonti. Ma no. Proprio no.

Questa storia dell’anello coi peli di San Pietro donato a Guglielmo I è stata usata per spiegare la ‘carità pelosa’ solo secoli dopo (per motivi insondabili): pare di capire che il collegamento sia stato inventato in italiano fra fine Ottocento e inizio Novecento. Peraltro le fonti medievali discordano: ripetono che papa Alessandro fece avere, insieme al suo patrocinio, un anello con una reliquia di san Pietro a Guglielmo il Conquistatore, ma a volte conteneva un capello, altre un dente.

Ad ogni modo, ciò che conta è che il peloso ha una dimensione psicologica, non solo tricologica (thríx in greco è il pelo), e lo abbiamo bene in mente quando parliamo del pelo sullo stomaco — ma anche dei meno consueti cuori pelosi, o di coscienze pelose. È senza scrupoli, non ha remore morali o di sensibilità personale, ciò che fa di buono lo fa con doppiezza, per interesse, per calcolo.

La chiave di volta che regge quest’arco di significati è da cercare proprio nella sensibilità. Il peloso è foderato, protetto, coperto — senza contare che ha anche un certo qual profilo da bestia. Il pelo sullo stomaco che serve per fare qualcosa di crudele o ributtante non fa sentire nausea, repulsione; una coscienza pelosa è morbidamente blindata contro dubbi e timori sulla rettitudine di quel che si opera; una carità pelosa ha il lucido profilo predatorio della pantera (e ci offre una splendida immagine che non si può immaginare, un gioco figurativo fatto tutto di metafora).

Così posso parlare del cuore peloso di chi mi ha sottratto un bene d’infimo valore venale e inestimabile valore affettivo, del controllore peloso che applica la norma con una rigidità zelante che va oltre gli intenti della norma stessa, della carità pelosa con cui ti faccio una gentilezza per chiederti in cambio un favore che avevo già in mente.

È sempre bello quando termini normali, fisici, si slanciano in galassie di significati metaforici.

Parola pubblicata il 24 Novembre 2022