Venale

ve-nà-le

Significato Che si può vendere e comprare; ciò che diventa oggetto di lucro a dispetto della propria natura e vocazione; avido, avaro, che agisce per lucro, facendosi comprare e corrompere,

Etimologia voce dotta recuperata dal latino venalis, derivato di venum ‘vendita’.

Parlando di ‘venale’ si parla di qualcosa che gravita intorno alle sfere del denaro e del lucro, e con una sfumatura che, se non è sempre spregiativa, lo è in molti casi. La cosa strana però è che di primo acchito non appare chiaro di chi sia etimologicamente parente, questo ‘venale’. Delle vene? Di Venere? No.

Il latino venalis, recuperato in italiano come voce dotta già nel Trecento, è derivato di venum, che è la vendita. Non sentiamo il ‘venale’ vicino al ‘vendere’ perché il vendere latino nasce a tutti gli effetti come parola composta: a venum viene unito un elemento ulteriore che secondo alcuni è pianamente un dare, secondo altri un segmento -dere col significato di ‘porre’ (rinvenibile anche in altri termini). Vendere è un dare, un porre in vendita.

L’essenza del venale è quindi la sua attitudine alla vendita. Questo è evidente (e tante volte spassionato) quando si parla di beni venali, del valore venale di un oggetto. Dopotutto, che molto sia in vendita e abbia un prezzo non ci scandalizza, è piccola economia vitale.

La forza del venale però è che si applica con particolare intensità a ciò che diventa oggetto di vendita e lucro non secondo la sua natura, ma a dispetto della sua natura, a ciò che viene fatto per profitto mentre (secondo uno spirito comune) dovrebbe essere mosso da slanci e obiettivi più alti. Questo è il tratto del venale che lo caratterizza sul versante psicologico: il suo essere vile. Così si possono scoprire interessi venali dietro all’atto che si presentava nobile, si può vedere l’amore venale sotteso al matrimonio di comodo, si possono notare le lodi venali di un articolo sponsorizzato.

E venali diventano anche le persone quando il loro agire è commerciabile, quando si fanno comprare e corrompere volentieri, o si mostrano avare o avide, con la testa sempre sul soldo: venale l’amico che riporta ogni discorso alato a un conto di denaro, venale l’amministratore che allude sempre all’opportunità di un’unzione, così come il committente ritiene venale l’artigiano che si permette di presentargli il conto, e venale la zia che, a detta dello zio, gli nega i piaceri dei Grand Cru di Borgogna perché cari.

Il fatto che la sua forma e suono non siano immediatamente collegabili ad altri termini della sua sfera gli dà un vantaggio: oltre ad essere blandamente ricercato, rimane un termine piuttosto coperto, discreto. Quando arriviamo a dover parlare di soldi (argomento sempre delicato, che invita sempre riguardi), un «Non per essere venale», o un «Non vorrei sembrare venale» riescono a introdurre l’argomento in maniera distinta e piacevole. Si parla di soldi, si parla di lucro, ma senza spiattellare ciò che è venduto o comprato — lungi dal grossolano.

Parola pubblicata il 11 Dicembre 2020