Ricolmo
ri-cól-mo
Significato Pieno, ben colmo
Etimologia participio passato contratto di ricolmare, derivato di colmare, dal latino culmen ‘sommità, culmine’, con prefisso ri-.
Parola pubblicata il 16 Gennaio 2025
ri-cól-mo
Significato Pieno, ben colmo
Etimologia participio passato contratto di ricolmare, derivato di colmare, dal latino culmen ‘sommità, culmine’, con prefisso ri-.
Parola pubblicata il 16 Gennaio 2025
È una cosa misteriosa tanto quanto il fatto che, quando mettiamo il piede in fallo, in un istante, prima che qualunque pensiero cosciente, qualsiasi volontà possa alzare le terga, ci riprendiamo. Come non sapremmo spiegarlo, da profani. In modo analogo noi siamo in grado al volo di distinguere e usare in maniera differente parole come ‘colmo’ e ‘ricolmo’. Ma in che cosa differiscono? Se parlo di un bicchiere colmo e uno ricolmo, non sto dicendo la medesima cosa? Se ho il cuore colmo o ricolmo d’amore, non è uguale? Ovviamente no; e questa è una di quelle volte in cui ci impelaghiamo a tentare di discernere quelle sfumature sottili in cui nuota, non vista, una delle parti più autentiche e condivise nostro pensiero.
Etimologicamente l’affare è semplice. La pianta è quella del culmine, del colmo in quanto parte più alta di un edificio, di un rilievo, diciamo pure elegantemente di una curvatura. Il nostro ‘colmo’ deriva appunto da culmen, la sommità, il culmine — parente non lontano di collis, il colle. Il colmare, quindi, è un riempire fino in cima, e il colmo, nella veste di aggettivo, è un participio passato contratto di questo verbo.
Se parliamo invece di un ‘ricolmare’, quel ri- ci presenta innanzitutto, come immaginabile, un’azione che si fa di nuovo. Il ricolmare è un colmare un’altra volta. Ma attenzione, non è direttamente questo fatto a emergere e a distinguere colmo e ricolmo. Peraltro fra il riempire una volta o più volte il concetto non tende a differenziarsi troppo — ne sia testimonianza il fatto che ho usato il verbo ‘riempire’ e nessuno tende a pensare che sia un empìre di nuovo, anche se tecnicamente lo è.
La reiterazione squadernata da quel ri- finisce per avere degli effetti più sottili.
Il colmo, nel senso di pieno fino all’orlo, (come anche il ‘colmare’) ha un tratto geometrico piuttosto statico e definito. Si colma una lacuna, e il risultato vorrebbe essere affidabile come una riparazione dell’asfalto; aggiungo un bicchiere colmo alla preparazione, colto nella sua esattezza misurata; e si grida con indignazione che «È il colmo!» per significare il limite toccato; se dico che ho il cuore colmo di gioia, per quanto il significato sia radioso, l’effetto è piuttosto protocollare.
Il ricolmo si mostra più mosso. Se non ci resta dentro con evidenza l’iterazione del riempimento, permane in un certo modo il movimento del liquido, un suo andare e venire, il suo uscirne ed entrarne, il suo girare sulle pareti — e perciò anche una certa inclinazione a traboccare. In un calice ricolmo di vino, vediamo che il vino si muove, s’inarca, spumeggia; la libreria ricolma di libri non è solo piena, ne vediamo fastelli appoggiati sopra e sotto, aggiunti e in attesa d’essere ordinati; un cuore ricolmo d’amore si riconosce ricolmo e gioisce del suo traboccare, della sua effusione. Certo che così il concetto si fa estremo — anche adatto alla retorica, ma non minimizziamo quanto possa essere schietto.
Queste sono sottigliezze stupefacenti, espresse nella parola con una sintesi poetica non meno che ermetica, e però spontaneamente chiare e trasparenti, nell’uso. Che meraviglia!