Etimologia dal greco synergía ‘collaborazione, cooperazione’, derivato di synergós ‘che lavora insieme’, derivato di érgon ‘lavoro, opera’, col prefisso syn- ‘insieme’-.
Cooperazione, lavoro insieme. Questa è la sinergia, una parola brillante e carismatica che sfavilla nel parlare corrente. Si tratta di un prestito moderno, ottocentesco, recuperato dal greco per essere impiegato innanzitutto nelle scienze biologiche — anche se oggi è usato dappertutto, e in una maniera che spesso può celare, coprire vanità e intenzioni seconde.
Già, perché non ci capita spesso di sentir parlare di sinergie enzimatiche o farmacologiche in discorsi comuni, anche se è proprio rincorrendo peculiari collaborazioni biologiche di questo tipo che gli scienziati dell’Ottocento, avvezzi a impiegare termini greci eterni per rendere (più o meno) universali i concetti, avevano rispolverato la sinergia.
Però oggi parliamo di sinergie fra aziende, di sinergie di enti locali, di sinergie fra politica e territorio, in espressioni che per quanto significhino questo ‘lavoro insieme’ con dei pregi evidenti, toccano agilmente il soffitto del trito.
La collaborazione ha spesso un che di compromesso al tavolo, la cooperazione è un concerto complesso e spesso difficile — entrambe hanno lati oscuri: la sinergia invece sposa un’aura tecnica e astratta con uno zefiro d’entusiasmo, smaccatamente e puramente positiva. Mostra uno sguardo che abbraccia il grande e il piccolo, il labirinto della cause e degli effetti, i flussi di energia che agiscono come patti spontanei muovendosi nella stessa direzione, sincroni: suscita un’impressione netta di grandi ruote concorrenti, ma ha un contenuto piatto.
Ebbene, i termini greci hanno spesso il ruolo delle spezie forti — molto gustose e ricche di sapore, ma che sanno anche nascondere una qualità scarsa della pietanza. Non a caso è una parola che è stata tirata fuor di scienza (dalla metà degli anni ‘80, pare) dal linguaggio giornalistico — in cui trovare questo tipo di spezie è classicamente fondamentale.
Al di fuori dei suoi usi tecnici (anche estesi, per esempio, all’economia), ‘sinergia’ è una parola pericolosa. Perché si presenta benissimo, è fascinosa, senza ombre. Ma proprio perché nella collaborazione ci si può sporcare, e nella cooperazione si devono incastrare contributi di parti diverse, queste sono vere, concrete. La sinergia invece assomiglia a una sagoma di cartone, che non adombra alcuna profondità, che è quasi irreale.
Insomma, una collaborazione con un ministero è fattiva, implica obiettivi, una cooperazione fra organismi internazionali è su un progetto o sulla risoluzione di un problema; una sinergia vuol dire che siamo tutti amici industriosi che sì certo, lavorano d’intesa come un sol corpo, e che quello è il futuro brillante, ora ci andiamo tutti insieme.
Cooperazione, lavoro insieme. Questa è la sinergia, una parola brillante e carismatica che sfavilla nel parlare corrente. Si tratta di un prestito moderno, ottocentesco, recuperato dal greco per essere impiegato innanzitutto nelle scienze biologiche — anche se oggi è usato dappertutto, e in una maniera che spesso può celare, coprire vanità e intenzioni seconde.
Già, perché non ci capita spesso di sentir parlare di sinergie enzimatiche o farmacologiche in discorsi comuni, anche se è proprio rincorrendo peculiari collaborazioni biologiche di questo tipo che gli scienziati dell’Ottocento, avvezzi a impiegare termini greci eterni per rendere (più o meno) universali i concetti, avevano rispolverato la sinergia.
Però oggi parliamo di sinergie fra aziende, di sinergie di enti locali, di sinergie fra politica e territorio, in espressioni che per quanto significhino questo ‘lavoro insieme’ con dei pregi evidenti, toccano agilmente il soffitto del trito.
La collaborazione ha spesso un che di compromesso al tavolo, la cooperazione è un concerto complesso e spesso difficile — entrambe hanno lati oscuri: la sinergia invece sposa un’aura tecnica e astratta con uno zefiro d’entusiasmo, smaccatamente e puramente positiva. Mostra uno sguardo che abbraccia il grande e il piccolo, il labirinto della cause e degli effetti, i flussi di energia che agiscono come patti spontanei muovendosi nella stessa direzione, sincroni: suscita un’impressione netta di grandi ruote concorrenti, ma ha un contenuto piatto.
Ebbene, i termini greci hanno spesso il ruolo delle spezie forti — molto gustose e ricche di sapore, ma che sanno anche nascondere una qualità scarsa della pietanza. Non a caso è una parola che è stata tirata fuor di scienza (dalla metà degli anni ‘80, pare) dal linguaggio giornalistico — in cui trovare questo tipo di spezie è classicamente fondamentale.
Al di fuori dei suoi usi tecnici (anche estesi, per esempio, all’economia), ‘sinergia’ è una parola pericolosa. Perché si presenta benissimo, è fascinosa, senza ombre. Ma proprio perché nella collaborazione ci si può sporcare, e nella cooperazione si devono incastrare contributi di parti diverse, queste sono vere, concrete. La sinergia invece assomiglia a una sagoma di cartone, che non adombra alcuna profondità, che è quasi irreale.
Insomma, una collaborazione con un ministero è fattiva, implica obiettivi, una cooperazione fra organismi internazionali è su un progetto o sulla risoluzione di un problema; una sinergia vuol dire che siamo tutti amici industriosi che sì certo, lavorano d’intesa come un sol corpo, e che quello è il futuro brillante, ora ci andiamo tutti insieme.