Labirinto

la-bi-rìn-to

Significato Struttura complicata e disorientante; intrico, situazione difficile; parte dell’orecchio che controlla l’equilibrio

Etimologia dal greco labýrinthos, probabilmente voce egea che si riferiva al palazzo di Cnosso a Creta, forse derivata dal nome lidio dell’ascia bipenne, labrys.

Questa meravigliosa parola è uno dei più suggestivi punti di contatto fra storia e mito.

Oggi la usiamo per indicare qualunque struttura sia particolarmente complessa, e in cui sia eccezionalmente difficile orientarsi: si può parlare dei piacevoli labirinti di alte siepi della villa veneta, in cui è bello perdersi, o dell’aeroporto labirintico in cui non si capisce dove si trovi il nostro punto d’imbarco; figuratamente, diventa la situazione intricata di non semplice comprensione: il nostro interesse per la serie televisiva scema quando la trama diventa un labirinto, e confrontandoci con gli amici si cerca di venire a capo del labirinto di una situazione sentimentale torbida. E quando, intorno al 1560, lo scienziato Gabriele Falloppio descrisse gli organuli che, nell’orecchio, presiedono al mantenimento dell’equilibrio, li chiamò ‘labirinto’, poiché formati da complesse cavità e canali.

Questo concetto, così importante e versatile, tradizionalmente scaturisce da un oggetto fisico ben preciso: il palazzo di Cnosso a Creta. Secondo il mito, questo intricatissimo palazzo - di cui ancora oggi si possono ammirare i fastosi resti - fu fatto erigere nientemeno che da re Minosse, figlio di Zeus e di Europa. Il simbolo del potere per eccellenza, nella civiltà minoica, era rappresentato dall’ascia bipenne, cioè quella che ha lame su entrambi i lati - e l’etimologia ci suggerisce che il nome ‘labirinto’ altro non significasse che ‘palazzo dell’ascia bipenne’. Ma il mito ci racconta qualcosa di più.

Quando Minosse si rifiutò di sacrificare a Poseidone un toro che il dio gli aveva inviato (era così bello…!), per punizione Poseidone suscitò in Pasifae, moglie di Minosse, un lubrico appetito nei confronti del bel toro. Si unirono, e dal suo grembo nacque il mostruoso Minotauro. Al che Minosse (che incassò e zitto) incaricò l’architetto Dedalo di costruire un edificio in cui rinchiuderlo - quello che il mito ci descrive come il ‘labirinto’ vero e proprio. Quando uno dei figli di Minosse, Androgeo, fu ucciso ad Atene perché, con le sue straordinarie doti fisiche, sbancava sempre i giochi atletici, il re di Creta mosse guerra al re di Atene Egeo, vinse e impose un terrificante tributo: ogni nove anni, sette fanciulle e sette fanciulli ateniesi da gettare nel labirinto, dandoli in pasto al Minotauro. L’epica vicenda di Teseo, principe di Atene, comincia proprio quando si offre volontario per essere fra i sette che incontreranno il mostro.

Qualche giorno fa ho avuto finalmente occasione di visitare Creta, e di vedere coi miei vivi occhi gran parte di quei luoghi e di quegli oggetti che conosciamo fin dai primi libri di storia che abbiamo studiato a scuola. Cnosso è un luogo piacevolissimo: aperto, curato, nient’altro che ruderi e fondamenta, e qualche ricostruzione un po’ carnevalesca di ‘come sarebbe dovuto essere’. Ma se si cerca di andare oltre alle colonne ricostruite in cemento e tinte di rosso, oltre alle didascalie orgogliose che spiegano che cosa forse c’era qui e qui, e molto oltre alle foto e al ciabattare garrulo di torme di turisti con cappelli flosci e spalle arrossate (tutto il mondo è paese), ti si spalanca qualcosa di vertiginoso. Non puoi descrivere quel luogo senza ricorrere ai concetti che da quel luogo scaturiscono.

Vedendo le fondamenta che disegnano la pianta del palazzo e che si snodano a perdita d’occhio senza che tu possa cogliere la logica dell’architettura, dovendo tu immaginare tanti livelli sovrapposti, slanciati o seminterrati, cogliendo solo l’odore dell’immenso segno di potere che quel palazzo - vera scaturigine della civiltà europea - era, ti vengono alla bocca solo frasi come ‘è un labirinto’, ‘è un dedalo’. Il che è un po’ come guardare una figura geometrica con tre lati e dire ‘è un triangolo’. Quella è una struttura che non si descrive: si riconosce. Perché il palazzo di Cnosso non è un sito archeologico, è un concetto.

Parola pubblicata il 15 Agosto 2015