Sofisticato
so-fi-sti-cà-to
Significato Alterato, adulterato; complicato, capzioso, privo di naturalezza e spontaneità; elegante, raffinato; avanzato, avanguardista
Etimologia propriamente participio passato del latino medievale sophisticari, derivato di sophìsticus ‘capzioso’, prestito dal greco sophistikós, aggettivo di sophistés ‘sapiente’, ma anche ‘sofista’, da sophía ‘sapienza’.
Parola pubblicata il 25 Maggio 2024
Questa parola è un vero perno concettuale, intorno a cui ruotano molte idee fondamentali. E curiosamente ha cambiato volto di recente, dopo millenni pacifici.
Il sofisticato è l’adulterato. Siamo nel pantano dell’inganno, delle sottigliezze cavillose che alterano e corrompono — ed è importante leggere il ‘sofisticato’ come participio passato di ‘sofisticare’. Partecipando della natura di verbo e aggettivo, ci qualifica qualcosa che è stato alterato in maniera artata, apposta. L’aggettivo di base (che si può anche fare sostantivo) è ‘sofistico’ — cavilloso, pedante e per soprammercato schizzinoso — e questo termine ci permette di risalire la corrente etimologica fino alla fonte, che ci darà il grattacapo di una contraddizione.
Il greco sophistikós, è tratto da sophistés un termine complesso che aspettiamo un momento a tradurre. Si vede bene che nasce da sophía, che famosamente è la ‘sapienza’ — e sophistés era un termine con cui si potevano indicare saggi di prim’ordine, come grandi poeti, grandi filosofi. Ma nel V secolo a.C, e ancora per tutto il IV (un’epoca d’oro per la Grecia), questo termine si specificò per indicare chi insegnava retorica a pagamento: uno scivolamento piuttosto assurdo. Questi sofisti usavano le forme della saggezza per fini spiccioli — guadagni, successo. Potevano sostenere e difendere qualunque tesi, se ne infischiavano della verità (anzi questo era un po’ il cuore del loro insegnamento retorico), ed è per questo che — da allora fino a noi — questi sofisti hanno il profilo di falsi sapienti, intenti alle sottigliezze più capziose e pretestuose.
Così il sofisticato, quando emerge nella nostra lingua nel Trecento, è già un ‘adulterato’: abbiamo una verità che è passata attraverso lo stampo deformante di una sofisticazione, operazione che ha impiegato un certo tipo di sapienza tecnica per compiere una dissimulazione del falso e del cattivo.
Può essere una genuinità molto concreta, quella che viene alterata, in particolare con aggiunte ad arte. Per questo se parlo di vini sofisticati parlo di vini ritoccati in barba ai disciplinari, se parlo di alimenti sofisticati possono essere stati colorati, sbiancati, conservati in maniere illecite.
La genuinità tradita però può essere ideale, morale: gusti sofisticati, discorsi sofisticati, modi sofisticati, dottrine sofisticate hanno sacrificato la naturalezza alla ricercatezza, l’evidenza al cervellotico e capzioso — senza troppe riserve a impicciarsi col vano e col falso. Niente di buono e promettente, parrebbe, e però...
Qui già intravediamo la svolta novecentesca, perché questo genere di alterazioni non è automaticamente spregevole — le equazioni ricercato = cattivo, spontaneo = buono non valgono molto. Così il sofisticato può essere direttamente elegante (e in questa positività ricalca l’inglese sophisticated, che ha questo tratto già dal Seicento), e anche perfezionato, avanzato.
Un ambiente sofisticato senza dubbio non è facile da frequentare, servono certe sottigliezze tutt’altro che spontanee, eppure lo percepiamo come un ambiente elevato, distinto, per gente scelta (in cui forse speriamo di rientrare). Una persona sofisticata non si troverà bene a mangiare alla trattoria di paese con l’Emilia e l’Osvaldo che litigano ad alta voce riguardo ai cassonetti con la chiavetta, e le cupole di pappardelle al sugo servite penzolanti dal piatto — ce la figuriamo con certi gusti musicali raffinati, certi intrattenimenti prediletti, certe compagnie elette, certi modi signorili.
Allo stesso modo, una tecnologia sofisticata è difficile da comprendere, poco alla mano nel suo essere progredita e avanguardista, tutta intenta in funzioni elevate che magari sfruttiamo crassamente grazie a interfacce amichevoli, ma che ci lascia nella più rassegnata ignoranza — felicità è schiacciare i pinoli coi sassi, forse.
Una sapienza vera che duemilacinquecento anni fa si fa sapienza falsa; una sapienza falsa che si fa cavillo sottile e ingannevole; un cavillo sottile e ingannevole che cent’anni fa si fa eleganza distante ed elevata. Questa è complessità poetica.