Vano
Scorci letterari
và-no
Significato Vuoto, cavo; incorporeo; privo di sostanza, di contenuto, d’effetto; spazio
Etimologia dal latino vanus.
Parola pubblicata il 19 Marzo 2018
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Sì, il vano umido dell’ascensore, i cinque vani dell’attico di pregio, l’ampio vano portabagagli sono esiti quotidiani del ‘vano’ letterario. Ma andiamo con ordine.
Il vanus latino è una parola grande, che nei rapporti con parole affini - come vacare e vastus - ci fa intravedere la radice antica, indoeuropea, del vuoto. In effetti il vanus latino, come aggettivo, indicava in concreto proprio il vuoto, il cavo, il privo di contenuto o di sostanza, l’inconsistente. Giusto le prime qualità che riconosciamo nel nostro vano: se al picchiettare della nocca il muro suona vano, è meglio non tentare di appenderci la specchiera pesante, alla fine della vana merenda abbiamo ancora una fame terrificante, il cane abbaia al vano gonfiarsi delle lenzuola stese fuori.
Il passo al significato figurato è tanto breve quanto capitale, e ci rende un vano che è privo di valore, di fondamento, di corpo ideale, soprattutto di effetti fruttuosi - una vescica vuota, illusoria, o frivola. Dissipiamo la vana paura e facciamo ciò che è giusto, l’argomento vano si infrange sull’affermazione intelligente, il discorso vano ci annoia. Di qui anche il sostantivo, da accostare ciò che è inutile: il vano diluisce una bella storia, confonde una ricetta. Di qui anche la locuzione avverbiale in vano, che vale per ‘inutilmente’ e conosciamo meglio come invano, unito: ti chiamo invano al telefono, evidentemente lo usi solo per Instagram.
Ma il vuoto è anche spazio; e se letterariamente il vano può essere uno spazio grande e indefinito (perfino l’aria stessa), quotidianamente diventa uno spazio definitissimo, uno spazio di azione, di vita, e lo troviamo in abitazioni, contenitori, suddivisioni.
Così il vano finisce di presentarsi come una parola di spessore, di altezza poetica e di funzionalità ordinaria, che ragiona significati torniti da ogni lato.
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L. Ariosto, Orlando furioso, canto XXXIV, strofa 75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
Questo celebre canto narra il volo di Astolfo sulla luna: il luogo dove si radunano tutte le cose perse e dove lui spera di recuperare il senno di Orlando, impazzito per amore.
E qui il tema basilare del poema, la vanità dei desideri umani, si fa esplicito: la vita è osservata da un punto di vista straniante (la luna), apparendo in tutta la sua piccolezza e futilità.
Molti autori moderni, come Leopardi o Pirandello, utilizzano tale straniamento in una chiave tragica, mostrando una vita priva di senso e costellata di delusioni.
In Ariosto però il tema ha ancora una sfumatura ludica. La vita, sembra dirci il poeta, va vissuta con leggerezza: lasciamoci trasportare dai sogni, ma senza la pretesa che si realizzino sempre; e ricordiamo che molte cose per cui ci affanniamo non sono poi così importanti. Tale leggerezza, che tanto piacerà a Calvino, non è una forma di superficialità, ma un modo per conoscere il mondo senza farsene impietrire.
L’Ariosto ci mostra così che la vita umana è piena di cose vane, che passano senza dare risultati concreti: l’amore infelice, il tempo del gioco e dell’ozio, i progetti sognati, e soprattutto i desideri. E così facendo ci invita alla moderazione e al buon uso del tempo, in modo da cogliere le occasioni prima che scompaiano.
Forse, però, il vano non è del tutto privo di valore. In fondo Astolfo scopre che le cose perse non sono mai veramente perdute. Non solo: proprio le cose piccole, vane e sciocche fanno vivere la narrazione. Senza i pazzi desideri dei personaggi il poema non sarebbe tanto affascinante; anzi, non sarebbe neppure cominciato. E lo stesso si può dire, del resto, per la vita stessa.
Perciò nell’ironia di Ariosto c’è anche una certa tenerezza verso quei piccoli esseri umani che, malgrado tutto, sperano sempre, tentano tutte le strade per essere felici. Il che, in fondo, è una forma di grandezza.