SignificatoMitigare, moderare; accordare, regolare; affilare, fare la punta
Etimologia voce dotta recuperata dal latino temperare propriamente ‘mescolare nella giusta misura’, derivato di tempus ‘tempo’.
Il problema è che uno degli usi statisticamente più rilevanti del temperare, capace di darci un’impressione di massima sul suo uso generale, è fortemente fuorviante rispetto al senso complessivo del verbo — ed è un peccato perché ha una grazia e una versatilità stupefacenti, lungamente esplorate attraverso tutta l’esperienza della nostra lingua.
Quando tempero una matita io l’affilo, le faccio la punta, e abbiamo temperini, temperamatite. Ma questo è un esito molto, molto specifico rispetto a un significato più ampio — che unisce la tempera con cui dipingi, il clavicembalo ben temperato, la temperatura, la temperanza, la temperie attuale, la tempra che dimostri col tuo temperamento e... il resto del temperare. Mica poco.
Combinare nelle giuste proporzioni. Questo è il temperare originale, quello latino, che già però si declina in una cascata di significati specifici — che astraggono da tale combinazione, dapprima riferita al vino da mescolare con l’acqua, in un mitigare, in un regolare (il vino ai tempi era fatto con un procedimento diverso, che faceva alzare molto il grado alcolico, e schietto non si beveva mai).
La tempera si diluisce, lo strumento musicale si regola, o meglio si accorda, l’equilibrio di caldo e freddo dà la temperatura, la temperanza è virtù di moderazione e controllo, la temperie è il clima, la tempra modera rapidamente la temperatura del metallo incandescente, irrobustendolo, e il temperamento è, fra l’altro, un complesso di tratti.
Naturalmente il temperamatite regola la punta alla perfezione, che sia, be’, inappuntabile.
Date queste premesse e questa piccola ricognizione di deduzione e induzione, il temperare ci viene servito in tutto il suo potere.
Posso chiederti di temperare il tuo giudizio rispetto a una questione che ti ha fatto inalberare oltremodo; la tenda di lino, pur leggera, tempera il calore della stanza; cerco invano di temperare un desiderio febbrile; tempero gli interventi alla lezione, che tendono ad essere impertinenti.
Il temperare ha un respiro pragmatico; non s’impernia modestamente sui modi della moderazione, stempera fattivamente (la s- dello stemperare è intensiva), ora addolcendo, ora affilando in maniera strumentale, a seconda della direzione che porta all’adatto, al conveniente, al lucido, al giusto.
Splendida eco di una giusta mescolanza, figura di così tante idee, che scaturisce da un’intuizione primordiale. La giusta mescolanza è a sua volta metafora e riflesso della regola universale e suprema — tenuta dal temperare lì in bella vista: la scansione precisa, ineludibile ed eterna del tempus, del tempo e del suo scorrere.
Il problema è che uno degli usi statisticamente più rilevanti del temperare, capace di darci un’impressione di massima sul suo uso generale, è fortemente fuorviante rispetto al senso complessivo del verbo — ed è un peccato perché ha una grazia e una versatilità stupefacenti, lungamente esplorate attraverso tutta l’esperienza della nostra lingua.
Quando tempero una matita io l’affilo, le faccio la punta, e abbiamo temperini, temperamatite. Ma questo è un esito molto, molto specifico rispetto a un significato più ampio — che unisce la tempera con cui dipingi, il clavicembalo ben temperato, la temperatura, la temperanza, la temperie attuale, la tempra che dimostri col tuo temperamento e... il resto del temperare. Mica poco.
Combinare nelle giuste proporzioni. Questo è il temperare originale, quello latino, che già però si declina in una cascata di significati specifici — che astraggono da tale combinazione, dapprima riferita al vino da mescolare con l’acqua, in un mitigare, in un regolare (il vino ai tempi era fatto con un procedimento diverso, che faceva alzare molto il grado alcolico, e schietto non si beveva mai).
La tempera si diluisce, lo strumento musicale si regola, o meglio si accorda, l’equilibrio di caldo e freddo dà la temperatura, la temperanza è virtù di moderazione e controllo, la temperie è il clima, la tempra modera rapidamente la temperatura del metallo incandescente, irrobustendolo, e il temperamento è, fra l’altro, un complesso di tratti.
Naturalmente il temperamatite regola la punta alla perfezione, che sia, be’, inappuntabile.
Date queste premesse e questa piccola ricognizione di deduzione e induzione, il temperare ci viene servito in tutto il suo potere.
Posso chiederti di temperare il tuo giudizio rispetto a una questione che ti ha fatto inalberare oltremodo; la tenda di lino, pur leggera, tempera il calore della stanza; cerco invano di temperare un desiderio febbrile; tempero gli interventi alla lezione, che tendono ad essere impertinenti.
Il temperare ha un respiro pragmatico; non s’impernia modestamente sui modi della moderazione, stempera fattivamente (la s- dello stemperare è intensiva), ora addolcendo, ora affilando in maniera strumentale, a seconda della direzione che porta all’adatto, al conveniente, al lucido, al giusto.
Splendida eco di una giusta mescolanza, figura di così tante idee, che scaturisce da un’intuizione primordiale. La giusta mescolanza è a sua volta metafora e riflesso della regola universale e suprema — tenuta dal temperare lì in bella vista: la scansione precisa, ineludibile ed eterna del tempus, del tempo e del suo scorrere.