SignificatoCacciare e catturare uccelli vivi, specie con trappole; ingannare, raggirare; beffare, prendere in giro
Etimologia da uccello, che continua il latino tardo aucellu(m), accanto a aucĕlla(m) per avicĕlla(m), dim. di ăvis.
È una parola ancora gagliardissima, ironica, brillante, e spendibile con larghezza — e notiamo subito questo: il suo significato concreto, nei secoli, è via via meno battuto; le maggiori attestazioni pare si trovino in pieno Medioevo. E forse possiamo leggerci l’influenza di un’innovazione tecnologica.
‘Uccellare’ è propriamente catturare uccelli, specie vivi, tramite l’ausilio di trappole, panie, rapaci addestrati. Serve una certa pianificazione, un allestimento di reti, esche, spauracchi, di rami coperti di colla di vischio, un addestramento di falchi e astori. Niente frecce, niente quadrelle, niente pallottole.
È un tipo di caccia indiscriminata, di massa, che oggi è vietata e che (per quanto comunque violenta) risulta più astuta che bruta. Virtù fatta inizialmente dalla necessità di catturare in maniera efficace una preda volante agile e piccoletta, non potendo contare tanto su armi fulminanti facili da usare. Dal Rinascimento, con le armi da fuoco, l’uccellare trova un’alternativa — anche se la pratica e soprattutto la parola restano.
L’uccellare figurato unisce tratti differenti ma contigui che conosciamo molto bene: dalla pratica di una cattura furbesca, in particolare da un lato distilla un cercare d’ingannare, un raggirare, dall’altro un prendere in giro, un beffare.
Così posso raccontare di come per la terza volta, stamani, qualcuno abbia tentato di uccellarmi al telefono spacciandosi per il mio fornitore di energia elettrica, di come gli amici si uccellino a vicenda fuori dal bar; posso parlare della promessa con cui la candidata ha uccellato la cittadinanza per farsi eleggere, dell’imitazione ormai celebre con cui la collega uccella il direttore.
Pone un forte accento sull’astuzia e sulla macchinazione: l’uccellagione è tanto predatoria quanto truffaldina, tanto scanzonata quanto ponderata. Non si uccella con meri furti, con battutacce improvvisate; non arriva al machiavellico — di base stai pur sempre infinocchiando dei volatili — ma un apparato di minima sofisticazione serve. E proprio echeggiando questa pratica, nel parallelismo fra preda avicola e preda umana dell’inganno e dello scherzo, risulta molto ironica. Le parole di questi campi sanno essere molto serie, molto gravi — pensiamo al peso dell’ingannare, al taglio brusco del prendere in giro. In effetti, specie sul versante del raggiro, sembra essere un ambito in cui c’è una certa fame di levità, di giocosità — pensiamo a come ci suonano il turlupinare, l’abbindolare, l’infinocchiare stesso. E l’uccellare risponde splendidamente a queste necessità.
È una parola ancora gagliardissima, ironica, brillante, e spendibile con larghezza — e notiamo subito questo: il suo significato concreto, nei secoli, è via via meno battuto; le maggiori attestazioni pare si trovino in pieno Medioevo. E forse possiamo leggerci l’influenza di un’innovazione tecnologica.
‘Uccellare’ è propriamente catturare uccelli, specie vivi, tramite l’ausilio di trappole, panie, rapaci addestrati. Serve una certa pianificazione, un allestimento di reti, esche, spauracchi, di rami coperti di colla di vischio, un addestramento di falchi e astori. Niente frecce, niente quadrelle, niente pallottole.
È un tipo di caccia indiscriminata, di massa, che oggi è vietata e che (per quanto comunque violenta) risulta più astuta che bruta. Virtù fatta inizialmente dalla necessità di catturare in maniera efficace una preda volante agile e piccoletta, non potendo contare tanto su armi fulminanti facili da usare. Dal Rinascimento, con le armi da fuoco, l’uccellare trova un’alternativa — anche se la pratica e soprattutto la parola restano.
L’uccellare figurato unisce tratti differenti ma contigui che conosciamo molto bene: dalla pratica di una cattura furbesca, in particolare da un lato distilla un cercare d’ingannare, un raggirare, dall’altro un prendere in giro, un beffare.
Così posso raccontare di come per la terza volta, stamani, qualcuno abbia tentato di uccellarmi al telefono spacciandosi per il mio fornitore di energia elettrica, di come gli amici si uccellino a vicenda fuori dal bar; posso parlare della promessa con cui la candidata ha uccellato la cittadinanza per farsi eleggere, dell’imitazione ormai celebre con cui la collega uccella il direttore.
Pone un forte accento sull’astuzia e sulla macchinazione: l’uccellagione è tanto predatoria quanto truffaldina, tanto scanzonata quanto ponderata. Non si uccella con meri furti, con battutacce improvvisate; non arriva al machiavellico — di base stai pur sempre infinocchiando dei volatili — ma un apparato di minima sofisticazione serve. E proprio echeggiando questa pratica, nel parallelismo fra preda avicola e preda umana dell’inganno e dello scherzo, risulta molto ironica. Le parole di questi campi sanno essere molto serie, molto gravi — pensiamo al peso dell’ingannare, al taglio brusco del prendere in giro. In effetti, specie sul versante del raggiro, sembra essere un ambito in cui c’è una certa fame di levità, di giocosità — pensiamo a come ci suonano il turlupinare, l’abbindolare, l’infinocchiare stesso. E l’uccellare risponde splendidamente a queste necessità.