Turlupinare
tur-lu-pì-nà-re
Significato Raggirare qualcuno sfruttando la sua buona fede
Etimologia dal francese turlupiner, derivato di Turlupin, nome d’arte dell’attore comico Henri Le Grand, vissuto fra Cinque e Seicento.
- «Ma era così professionale... come può avermi turlupinato?»
Parola pubblicata il 21 Febbraio 2024
Come potrebbe non essere un campo affollato di parole?
Stiamo parlando del raggiro, dell’inganno che sfrutta la buona fede — un atto terribilmente pericoloso, per la società, perché lucra su uno degli aspetti che la fanno funzionare meglio, cioè la fiducia reciproca. Perciò la lingua sviluppa parole come anticorpi, in grado di descrivere e stigmatizzare un comportamento, e lo fa coprendo un’ampia gamma di sfumature — senza trascurare quelle ironiche.
Abbiamo le altezze girevoli del circuire e del raggirare, l’infido nell’insidiare e nell’irretire, abbiamo l’energia spiccia dell’imbrogliare e dell’infinocchiare, la precisione del truffare o del frodare, le volgarità del fregare e del buggerare, l’aura antiquata e simpatica dell’abbindolare. Il turlupinare in questo quadro si mostra particolarmente ricercato e insieme particolarmente attento alla tinta ironica: è evidente come su una materia così delicata e seria qui agisca un disinnesco, e lo faccia fin dal suono. Comicamente funziona bene — ed è un rilievo con una certa consistenza storica.
In realtà i turlupini erano una setta ereticale francese del XIV secolo. Non è delle più celebri, adottavano una povertà radicale e, come spesso accade, ciò che sappiamo ci arriva da chi l’ha osteggiata. Non si sa da dove salti fuori questo nome, si sa solo che (anche questo è classico) era spregiativo. Fu stroncata negli anni ‘70 del Trecento — ma il nome rimase nell’aria.
Siamo alla fine del Cinquecento, e il teatro è rinato con una forza travolgente. In Francia gira, adontando la gente perbene e divertendo il popolaccio con spettacoli di cattivo gusto, un attore estremamente capace di nome Henri Le Grand. Porta in scena un personaggio, una maschera che ha molto di tradizionale: il servo scroccone, pronto a sfoderare ogni astuzia e ogni espediente per proprio vantaggio. Il nome d’arte? Turlupin. Forse una digeritissima eco popolare della malvista povertà dei turlupini.
Fatto sta che, tanto disprezzato, Turlupin ebbe un successo clamoroso. Riusciva ad avere il polso della fantasia popolare, e a fare satira in maniera incisiva. Tanto che Turlupin visse più del suo attore. Rimase come nome per i cattivi attori, o i pagliacci — ovviamente. Volto in verbo, turlupiner, divenne un fare scherzi e battute di cattivo gusto, un prendere in giro. Che pian piano scivolò per il peggio — ma qui passano dei secoli. È solo nell’Ottocento che il turlupinare entra in italiano, e soltanto alla fine del secolo lo troviamo in voga.
La sua vena di presa in giro si è incattivita in un imbroglio che approfitta dell’ingenuità altrui. La lunghezza buffa del termine ci rende un ghirigoro d’inganno, verso cui una buona fede si mostra prona e poi stizzita; ci resta appiccicata sopra l’astuzia determinata, callida e maliziosa del servo delle antiche commedie.
Così ci facciamo turlupinare dall’offerta imperdibile, l’amica di famiglia così gentile ha turlupinato i nonni, e il ristorante in centro ormai turlupìna solo chi è turista.
Per noi rimane una risorsa raffinatissima: descrive una bassezza maligna, ma in maniera ricercata e ironica, e perciò la svilisce — ne fa un inganno pedestre.