Anarchia

Le parole e le cose

a-nar-chì-a

Significato Disordine politico dovuto a debolezza o mancanza di governo; disordine, mancanza di disciplina; serie di dottrine filosofiche che dall’Ottocento, secondo diversi ideali, propugnano l’abolizione di ogni potere costituito

Etimologia dal greco anarchía, derivato di arché ‘potere, comando’ con prefisso negativo an-.

  • «Ma se non sarò più io a decidere per tutti, sarà l'anarchia!»

Parola doppiamente malfamata, anarchia.
Anzitutto perché il greco anarchía è letteralmente ‘mancanza di comando, di potere’ – condizione comunemente equiparata al caos, al disordine, alla ‘legge della giungla’.
Poi perché, da metà Ottocento, una dottrina politica ha ritenuto auspicabile l’assenza di comando e ha rivendicato per sé questo nome, per cui il termine anarchia, da condizione che era, è diventato anche un nome di dottrina, sinonimo di anarchismo. E nel combattere ferocemente ogni autorità costituita, gli anarchici si sono distinti per un particolare tipo di azione politica diretta, la ‘propaganda col fatto’, volta a colpire i rappresentanti del potere – dagli attentati storici di Sante Caserio, Luigi Lucheni e Gaetano Bresci, che sul finire dell’Ottocento uccisero rispettivamente il presidente francese Sadi Carnot, Elisabetta di Baviera (più nota come ‘Sissi’) e Umberto I, a quelli recenti degli anarchici ‘insurrezionalisti’, che hanno preso di mira forze dell’ordine e dirigenti d’azienda.

Ma davvero l’anarchismo auspica il caos e promuove l’azione politica violenta? Per capire meglio, approfondiamo le idee del primo pensatore che si sia autodefinito ‘anarchico’, il francese Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), il quale ha scritto che «l’anarchia è ordine» e che «la proprietà è libertà». Ehm… Forse non sono queste le citazioni da cui conviene partire per chiarirsi le idee. Meglio iniziare da quella più famosa, canonica: «La proprietà è un furto». Quest’affermazione, che suscitò l’interesse e l’approvazione di Karl Marx, colloca Proudhon nell’ambito del socialismo, la dottrina che mira all’eguaglianza sociale attraverso l’eliminazione o la forte limitazione della proprietà privata e il controllo dei lavoratori sulle forze produttive.

Per Proudhon, tuttavia, ad essere un furto è la proprietà che è «privilegio di oziosi», quella del capitalista che sfrutta il lavoro altrui. La proprietà da parte dei lavoratori invece è essenziale, perché li rende liberi. Essa è «la più grande forza rivoluzionaria che esista», l’unico contrappeso alla potenza – «capace di schiacciare tutto attorno a sé» – dello Stato, ma nel quadro di una società imperniata su comunità locali di produttori, una federazione agricolo-industriale basata sul mutualismo e sorretta da banche popolari. La proprietà quindi non va abolita – e neppure data allo Stato, come vogliono i comunisti – ma universalizzata, diffusa capillarmente ed equamente tra i produttori, che possono vendere le loro merci sul mercato al giusto prezzo, ossia in base alla quantità di lavoro necessaria a produrle. Il mutualismo di Proudhon, da lui definito «la sintesi dei concetti di proprietà privata e proprietà collettiva», è quindi un socialismo di mercato, una ‘via economica al socialismo’ in cui l’economia autogestita si sostituisce alla politica.

Una fotografia di Proudhon del 1862. Anche la fotografia, rispetto a busti e ritratti, è piuttosto anarchica.

Tutto qui? E la rivoluzione? Secondo Proudhon, la trasformazione della società in senso mutualistico non necessita affatto della violenza, che peraltro porta generalmente alla tirannia. Già: «l’anarchia è ordine». Ma allora Proudhon è un riformista che vagheggia una società di piccoli produttori, un apostolo delle classi medie? Il propugnatore di un «socialismo borghese», come ha impietosamente sintetizzato Marx? È questo il capostipite degli anarchici che hanno terrorizzato il mondo? C’è dell’altro, ovviamente. Per Proudhon l’anarchia è ordine sì, ma «senza il potere», senza Stato, perché essa è «assenza di un padrone, di un sovrano». Inoltre, è l’intera «trinità di assolutismo» costituita da Stato, Chiesa e capitale ad essere rigettata in blocco, perché «quello che il capitale fa al lavoro, e lo Stato alla libertà, la Chiesa lo fa allo spirito».

Qui si riconosce l’anarchico: su questi principî, essi sono tutti d’accordo. Non così, invece, sul mutualismo, «terza forma di società» che secondo Proudhon garantiva libertà e giustizia in quanto «sintesi di comunismo e proprietà». Altri anarchici, come Bakunin, hanno ritenuto che il modo migliore per assicurare la giustizia sociale fosse non la proprietà individuale ma la collettivizzazione dei mezzi di produzione, e per l’anarco-comunista Kropotkin il sistema proudhoniano, in cui ognuno riceveva in base a quanto prodotto, era poco generoso e andava modificato secondo il principio «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni».

Diametralmente opposta, invece, la visione di Max Stirner, ritenuto fondatore dell’anarchismo individualista, che negava sì il diritto di proprietà, ma in nome di un radicale egoismo: «i confini della mia proprietà sono i confini del mio potere e rivendicherò come mia proprietà tutto ciò che mi sento abbastanza forte da poter conquistare», perciò «la questione della proprietà (…) si risolverà soltanto con la guerra di tutti contro tutti». La legge della giungla, insomma: niente ordine, ma soprattutto niente uguaglianza, perché «l'“eguaglianza di diritti” è (…) un fantasma» e «il diritto non è né più né meno che una concessione, cioè una questione di grazia». Non c’è che dire: un vero schiaffo in faccia agli anarchici collettivisti che predicavano l’eguaglianza sociale, ma anche al ‘padre’ Proudhon che si era prodigato per conciliare giustizia e libertà.

Sotto il coperchio dell’anarchia, insomma, ribolle un mondo multiforme e contraddittorio: e come potrebbe essere diversamente, trattandosi appunto di anarchia?

Parola pubblicata il 07 Febbraio 2023

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.