Auspicio
au-spì-cio
Significato Nell’antica Roma, divinazione tramite l’osservazione di eventi naturali, specie il volo degli uccelli; protezione, patrocinio; pronostico, presagio
Etimologia voce dotta recuperata dal latino auspicium, da auspex ‘che osserva il volo degli uccelli’, composto di avis ‘uccello’ e spècere ‘guardare’.
Parola pubblicata il 01 Dicembre 2019
Prendendo in mano questa parola, ricercata ma a buon mercato, torniamo a parlare di antiche pratiche divinatorie. E ci torniamo in un modo buffo, perché il senso con cui la intendiamo è particolarmente pulito rispetto alla portata che il fenomeno aveva nell’antica Roma.
L’auspicio è propriamente la divinazione compiuta da un sacerdote, l’àuspice, che in base all’osservazione di alcuni eventi naturali poteva determinare il favore o lo sfavore della divinità rispetto a un atto da compiere o compiuto. Si divinava su qualunque cosa, perfino sui lacci dei sandali, ma il rilievo maggiore l’aveva la divinazione basata sull’osservazione del volo degli uccelli. L’àuspice prendeva il suo bastone, il lituo, con gesto ieratico stabiliva la porzione di cielo che avrebbe osservato, e grossomodo se gli uccelli arrivavano da sinistra era un presagio fausto, da destra sciagurato. Valevano anche suoni ed eventi atmosferici — non si poteva chiedere di meglio che una folgore da sinistra.
A noi la narrazione di queste pratiche arriva per via storiografica, e l’auspicio fa la sua comparsa in italiano in una luce di serietà alta, forte dell’aura sacrale ispirata dai sacerdoti antichi e del ruolo cardinale che avevano nella società romana. Ma diciamo che così noi abbiamo raccolto solo la crema di queste pratiche, la facciata dignitosa. Potevano essere di una bassezza disarmante: come raccontano molti autori latini, a partire da un originario sentimento di autentico e obbediente rispetto per gli auspici, i Romani durante il periodo repubblicano erano arrivati ad addomesticarseli secondo convenienza.
Ad esempio pagavano sacerdoti prezzolati per affermare di aver osservato voli fausti; e specie in guerra, quando non si potevano sempre aspettare le manifestazioni divine, si traevano gli auspici ex tripudiis, quelli prêt-à-porter tratti dal modo in cui polli sacri, liberati all’occorrenza da apposite gabbie, mangiavano — e anche questi venivano truccati. Il mondo romano era impregnato di superstizione a un livello così parossistico che pur di avere un responso positivo lo si falsificava, arrivando al paradosso di tradire la superstizione stessa. Ma a noi l’auspicio arriva completamente pulito.
Solo per poco tempo resta confinato nella storiografia, una volta ripreso in italiano nel Trecento. Già nel Quattrocento una frangia di intellettuali molto attiva sul fronte dell’arricchimento linguistico dell’italiano attraverso recuperi dal latino — fra cui, agguerritissimo, Leon Battista Alberti — avevano fatto degli auspici un patrocinio, una protezione: se l’iniziativa viene compiuta sotto gli auspici del sindaco, se con gli auspici di fondazioni finanziatrici il progetto va ben oltre i risultati previsti, e se forte degli auspici della mamma quest’anno modifico la ricetta natalizia della bisnonna, evoco una sorta di protezione che è quella che doveva essere garantita dall’auspicio positivo.
Qualche tempo dopo l’auspicio prende anche i tratti generici con cui lo conosciamo oggi — non tanto quelli della profezia quanto quelli del presagio, del pronostico. Il viaggio parte sotto i migliori auspici, il fatto che mi abbiano risposto subito va preso come un buon auspicio sulla collaborazione, mentre il tuo essere sfuggente non mi fa trarre auspici lieti sul tuo coinvolgimento.
Insomma, il tempo è galantuomo, e finge di non portare memoria delle miserie clientelari degli auspici dei tempi che furono, anzi: ce li presenta con tutta la solennità di originali accessi al divino da parte di sacerdoti arcaici dagli occhi etruschi — enigmatici presagi e protezioni. Una parabola eloquente.
Due note, alla fine: a qualcuno potrà sembrare che questi sacerdoti àuspici siano simili agli àuguri che traevano augùri (da cui i nostri auguri). Ebbene, sono in pratica la medesima figura: il termine ‘àugure’ pare solo che fosse più generico e che quindi abbia prevalso. E altri si domanderanno: ma gli aruspici, anch’essi sacerdoti, c’entrano qualcosa? Il nome è simile. No. Costoro erano quelli che in maniera meno graziosa divinavano nelle viscere degli animali, e non hanno avuto un successo analogo.