Aprosdoketon
Le figure retoriche sono una bomba
a-pro-sdó-ke-ton
Significato Figura retorica che consiste nella sostituzione di una parola aspettata con una inaspettata; per estensione, ogni elemento inatteso inserito nel discorso
Etimologia dal greco aprosdóketon ‘inaspettato’, composto da a- privativo e dal verbo prosdokào ‘io aspetto’.
Parola pubblicata il 02 Giugno 2017
Le figure retoriche sono una bomba - con Mauro Aresu
Le figure retoriche pervadono la lingua e il pensiero, ad ogni livello. Con Mauro Aresu, giovane studente di lettere classiche, iniziamo un ciclo di parole rigoroso e scanzonato proprio sulle figure retoriche.
“Molte persone rimangono spiazzate se leggono una frase che non finisce nel modo in cui loro patata”.
Se avessi un euro per ogni volta che ho letto questa frase sui social network ora sarei milionario. E mentre quest’ultima frase potrebbe essere un ottimo esempio di iperbole, quella lassù virgolettata è invece un perfetto aprosdoketon.
Di questa figura retorica sono presenti numerosi esempi in Marziale, epigrammista romano del I secolo d.C., che l’ha largamente usata nei suoi componimenti per capovolgere situazioni apparentemente normali con il suo tipico fulmen in clausula, il colpo sferzante in chiusura: “Nescio tam multis quid scribas, fauste, puellis: / hoc scio, quod scribit nulla puella tibi” (Non so, Fausto, cosa tu scriva a così tante fanciulle: so questo, che a te non scrive nessuna fanciulla). Eccolo, l’aprosdoketon: dall’avere un dubbio apparentemente lecito, Marziale passa a prendere per il bavero il povero Fausto, all’improvviso, inaspettatamente.
Anche Ipponatte, poeta greco del VI secolo a.C., quando nei suoi giambi (composizioni poetiche caratterizzate dall’invettiva e dall’impetuosità) chiede a Hermes di dargli mantellino, tunichetta e sandali perché muore di freddo, costruisce un aprosdoketon: battendo i denti a causa del gelo, la richiesta della tunichetta leggera è quantomeno inaspettata.
Un altro esempio, magari più vicino nel tempo, è quello che si può osservare quando durante le festività il buontempone di turno decide di urlare, al momento del brindisi a tavola, un sonoro “Buona Pasqua!” nonostante sia il 25 Dicembre, si mangi il pandoro e le temperature esterne non siano nemmeno lontanamente simili a quelle tipicamente pasquali. Lo zio/cugino/fratello che ogni anno rispolvera il proprio ricco repertorio da cabaret crede (e sottolineo ‘crede’, visto che la cosa va avanti ormai molto probabilmente da anni) di dire qualcosa di totalmente inaspettato (e di conseguenza esilarante, in questo caso). Quello è un aprosdoketon.
Per estensione, quindi, l’aprosdoketon non è più solamente l’uso di una parola inaspettata al posto di un’altra, ma è arrivato a essere l’inatteso in generale, ciò che esula dalle aspettative comuni. Per i più romantici, poi, l’aprosdoketon non è solo una figura retorica, ma il concetto stesso che il termine rappresenta: qualcuno è in cerca dell’aprosdoketon, qualcun altro, più abitudinario, magari l’aprosdoketon lo fugge.
Insomma, tutti ci rapportiamo con esso in modo diverso, chi dal punto di vista letterario, chi dal punto di vista esistenziale. E nella sua fugacità, l’aprosdoketon è carico di una sola certezza: che nessuno se lo aspetta.