Bacchetta
bac-chét-ta
Significato Bastone sottile; elemento, decorativo o funzionale, che richiama la forma di un bastoncino; in musica, è usata dal direttore d’orchestra come ausilio per fornire indicazioni esecutive; asta lignea dell’archetto dei cordofoni ad arco, come il violino, oppure una delle due stecche, con un’estremità sferica, usate per molti strumenti a percussione
Etimologia probabilmente diminutivo di bacchio, dal latino bàculum ‘bastone’.
- «Mamma mia, che tipaccio: comanda tutti a bacchetta!»
Parola pubblicata il 25 Giugno 2023
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Quando il direttore d’orchestra arriva in sala per le prove, a volte porta con sé uno o più astucci da cui estrae un prezioso manufatto: la bacchetta. È leggera, maneggevole e robusta, in legno pregiato o in altro materiale, di colore chiaro per spiccare nell’oscurità del teatro, e a volte con un pomello all’estremità inferiore, che serve ad assorbire il sudore della mano. Se il cachet percepito dal maestro è molto alto, è probabile che sia notevole anche il prezzo pagato per acquistarla.
Pur non essendo strettamente necessaria dal punto di vista musicale, è un simbolo di comando, come lo scettro o il pastorale (bacolo), e il pubblico si aspetta di scorgerla nella mano del direttore. In realtà, alcuni la usano sempre, altri mai, considerando maggiormente espressivo il gesto fluido della mano nuda. S’impugna generalmente con la destra per segnare il tempo; la sinistra, invece, di solito suggerisce intensità, agogiche, dinamiche, attacchi e stacchi.
Nelle cantorie del passato il tempo era battuto servendosi di un umile antenato della bacchetta: la solfa. In un ambiente angusto, minimalista ed essenziale come la cantoria, la solfa era un semplice foglio arrotolato, una vecchia pagina di musica. In Vaticano si trova un quadro di Mario Barberis che raffigura Ernesto Boezi, direttore della Cappella Giulia a S. Pietro fino al 1946, che brandisce il suddetto rotolo. Anche l’archetto di un violino poteva assolvere lo stesso cómpito.
Della solfa ci si serviva anche all’estero; il compositore ceco Franz Xaver Richter, Maître de Chapelle della cattedrale di Strasburgo, fu immortalato proprio mentre batteva la solfa.
Prima che la moderna bacchetta divenisse il corredo standard del direttore, in alcuni contesti, soprattutto in Francia, si ricorreva a un grosso bastone che batteva ritmicamente a terra. Com’è noto, fu proprio uno di questi arnesi che causò la morte di Giovanni Battista Lulli, compositore al servizio di uno dei sovrani più celebri di tutta la storia, Luigi XIV, Re Sole. Mentre Lully provava il suo Te Deum con l’orchestra di corte, segnando l’abesser ou frapper (l’abbassare o battere) e il lever (levare) con il pesante bâton, si colpì un piede. Il gesto fu energico – Lully era conosciuto per il suo carattere forte e autoritario – e la ferita andò in cancrena. Morì tre mesi dopo, il 22 marzo 1687.
Probabilmente, quest’evento tragico contribuì a persuadere i musicisti ad abbandonare mazze e bastoni in favore di oggetti più leggeri e, soprattutto, più sicuri. Infatti, forse derivato dal baculus, un bastoncino per segnare il tempo documentato nel primo Rinascimento, alla fine del Settecento fu usato per la prima volta un bastone sottile e affusolato, lungo circa mezzo metro.
Le prime fonti in volgare documentano il termine bacchetta – senza riferimenti musicali – già bello e formato fin dal 1301. Era maneggiato da imperatori, da papi o da altri potenti; talvolta, significativamente, la bacchetta veniva gettata a terra, in segno d’umiltà, di disfatta o di rabbia.
Come utensile è indispensabile a violinisti, percussionisti, rabdomanti e altre categorie professionali, reali o immaginarie, come maghi e fate.
L’uso magistrale resta però quello che ne fa il direttore d’orchestra. Nel film Mi permette, babbo!, Alberto Sordi interpreta – finzione nella finzione – la parte del dottore nella scena finale della Traviata. Invaso da furore istrionico e sprezzante del veto impostogli dal direttore, canta una frase convenzionalmente eliminata dall’opera, istigato dall’apparizione di Giuseppe Verdi che, sorridente e munito di bacchetta, gli fa cenno di procedere all’inopinato ripristino. Naturalmente finisce per essere bacchettato (e malmenato) da tutti. Ma i musicisti, quando ci si mettono, possono essere dei gran bacchettoni...