Cleptocrazia

clep-to-cra-zì-a

Significato Sistema di governo fondato su corruzione e peculato, in cui un’élite spoglia le risorse pubbliche per fini personali

Etimologia voce composta dagli elementi greci clepto- (da kléptes ‘ladro’), e -crazia (da krátos ‘potere’), letteralmente il ‘governo dei ladri’.

  • «Era una cleptocrazia in cui l'intero popolo rimaneva alla fame, mentre il 'presidente', la sua famiglia e i suoi scagnozzi avevano ricchezze faraoniche.»

L’elemento greco -crazia piace proprio tanto: è sulla cresta dell’onda da millenni. Come secondo elemento di una parola composta, ci permette di descrivere un sistema di potere, fondato su tutto ciò che il primo elemento può voler indicare o immaginare. Abbiamo delle crazìe antiche, dalle aristocrazie alle autocrazie, dalle democrazie alle oclocrazie (ma sono decine), crazie moderne, come l’odiosamata burocrazia, e un bel mazzo di crazie contemporanee, da quelle che hanno ormai un’aura rétro da Ventennio, come la demoplutocrazia, a quelle ancora rampanti come la meritocrazia e la tecnocrazia.

La cleptocrazia si colloca in questa bella famiglia, e il modo speciale in cui declina l’assetto di potere ci viene raccontato da un primo elemento non comunissimo ma relativamente noto, clepto-, che viene dal greco kléptes ‘ladro’. Forse vi ricorderete di lui per la cleptomania, cioè l’ingovernabile impulso a rubare — la cui suggestione va spesso oltre la pura clinica.

Ma quindi la cleptocrazia è il governo dei ladri? Alla grossa, ma ci sono dei punti da circostanziare, che coinvolgono in particolare i suoi ambiti d’uso.

È un termine che vive soprattutto nel linguaggio giornalistico, e non è un tipo di linguaggio da cui ci si aspetta solitamente una messa a fuoco di grado scientifico. È un linguaggio in cui l’impatto, la capacità di rappresentare in maniera icastica prevale su tante altre istanze. In questo contesto possiamo dire che una cleptocrazia è un sistema di governo fondato sulla corruzione, sul peculato e su amenità di questo tenore.

Ma non vive solo in quest’ambito. Si trova usato anche nelle scienze sociali, dove con precisione maggiore (seppur con una certa variabilità a seconda di autori e autrici di mezzo mondo), indica la spoliazione, da parte di un élite, delle risorse di un gruppo vasto — una formazione statale o una realtà poco meno complessa. Per fare l’esempio forse più celebre, parla di cleptocrazia il biologo e antropologo statunitense Jared Diamond nel suo famoso Armi, acciaio e malattie.

Le risorse del gruppo, raccolte e accentrate, possono migliorare significativamente la vita del gruppo intero (pensiamo alle infrastrutture che permettono di creare, rispetto alle possibilità di risorse sparpagliate), oppure possono ingrassare la sola élite — con tutte le sfumature intermedie che ci possono essere fra questi due poli. E dove si colloca la cleptocrazia su questa linea?

Tendenzialmente, è quel profilo di governo che si approssima al polo della ruberia totale da parte di chi comanda. Così possiamo parlare delle cleptocrazie che sorgono dopo una torbida dismissione coloniale o la caduta di un impero, di rapporti ambigui con cleptocrazie da parte di grandi imprese, ma magari anche di una gestione cleptocratica di un patrimonio da parte di chi lo ha temporaneamente amministrato.

In effetti non si tratta propriamente di ladrocini, quando si parla di cleptocrazia; ci racconta un passaggio legittimo di grandi ricchezze attraverso poche mani, a cui però restano attaccate; tradiscono il motivo per cui quelle ricchezze sono state concentrate, volgendole a fini personali e non al bene del gruppo che le ha conferite, o a cui sono state semplicemente prese. Una realtà di appropriazioni, che nonostante il nome recente (compare in italiano nel ‘75) sa avere una presa forte nella descrizione del mondo e delle sue comunità.

Parola pubblicata il 05 Maggio 2022