Coriandolo

co-riàn-do-lo

Significato Pianta aromatica delle Apiacee, e seme usato in cucina; confetto che contiene un seme di coriandolo; ciascun dischetto di carta colorato, di quelli che ci si lanciano festosamente a carnevale

Etimologia dal latino coriandrus, dal greco koríandron, di probabile origine preindoeuropea.

  • «L'erborista mi ha lanciato addosso del coriandolo.»

Cucinando discorro con mio figlio di 3 anni e dico che nell’hummus di ceci ci va il coriandolo. Nella sua mente balena l’opportunità di condividere con me il piacere di pastrocchiare, e di pigiare pezzi di carta nel cibo per vedere che succede; si guarda intorno in cerca di coriandoli.

Una boutade, ovviamente: saremo davanti a un buffo caso di omonimia — da un lato pianta aromatica, seme aromatico, e dall’altro dischetto o ritaglio di carta da lanciare a carnevale o alle feste. E invece no. C’è una continuità etimologica, fra coriandoli — e adesso la scopriamo.

Il nome del coriandolo è un nome di un’antichità... vertiginosa? Vertiginosa, come da menu. Viene dal latino coriandrus, che è un prestito dal greco koríandron, che ha probabilmente origine nel sostrato mediterraneo — insieme di lingue precedenti alla migrazione indoeuropea, che manifestano ancora parole, specie quando si parla di piante autoctone. Certo che però è plausibile che il greco abbia adattato questo nome modellandolo a somiglianza di kóris, la cimice — il cui puzzo è ricordato dall’odore del frutto acerbo di coriandolo (si dice).

Abbiamo quindi una presenza ancestrale che accompagna la gente affacciata su questo mare da sempre. Ma che succede? Il Rinascimento.
Il Rinascimento fu un periodo, come ognuno sa, di grandi... feste. E nei carnasciali del tempo (o carnevali che dir si voglia, sempre inizio di quaresima in cui si ‘lascia la carne’ sono), invalse l’uso festoso di lanciare coriandoli. Ai tempi però i coriandoli erano i semi di coriandolo coperti di zucchero (un’americanata dei tempi). Mica roba dappoco. Tant’è che a questi coriandoli seguì il succedaneo di simili pallottole di gesso colorato da lanciare — che ne conservarono il nome. Questa sì, roba dappoco.

Con questo scarto il coriandolo si reinventa. Molla il coriandolo pianta e seme, e si fa cosina colorata da nulla da lanciare alle feste. Il suo futuro, ancor più economico e semplice, sarà mutarsi in dischetto di carta — la veste in cui lo conosciamo ancora oggi. E che apre a un secondo significato, cioè il minutissimo straccetto di carta. Ad esempio, ti avrei voluto portare una bella edizione di Poe in cui c’era il racconto di cui ti parlavo ma il mio cane ne ha fatto coriandoli, mentre quando sono sovrappensiero riduco in coriandoli vecchi scontrini e liste della spesa che non ho ancora fatto.

Uno spaccato di contenuto semplice (a cui vanno aggiunti i destini incrociati del confetto), che però ci dà la sensazione di quanto si tenga tutto stretto insieme, e di quanto in questo momento — in cucina tu, io e un quiproquò — siano compresenti il remoto e l’adesso.

Parola pubblicata il 18 Luglio 2024