Corona
co-ró-na
Significato Oggetto di forma circolare che si pone sul capo, con intenti esornativi e simbolici; cerchio; nome di antiche monete, o di valute tuttora in corso. In musica: segno che sospende momentaneamente l’andamento regolare del tempo, prolungando il valore della nota a cui è applicato
Etimologia dal latino corona ‘corona, circolo’, dal greco koróne ‘cornacchia’ e, per estensione, ‘oggetto ricurvo’.
- «Il compositore ha inserito una corona prima del finale, permettendo al solista di dare sfoggio del suo virtuosismo nella cadenza.»
Parola pubblicata il 23 Novembre 2025
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Il lessico musicale internazionale è, ancora oggi, in gran parte strutturato sulla lingua italiana. Indicazioni agogiche come allegro, lento, andante, adagio appassionato, o didascalie tecniche come alla breve, a tempo, da capo, e persino parole non prettamente musicali (come «bravo!»), sono conosciute quasi ovunque nel mondo grazie all’arte dei suoni. A volte poi, alcuni termini musicali hanno arricchito la nostra lingua, creando usi figurati; pensiamo al contrappunto di un’azione calcistica, all’affrontare una situazione delicata col si bemolle, oppure a espressioni come «uffa, sempre la stessa solfa!»
È successo anche il contrario: la musica ha preso a prestito parole dal linguaggio quotidiano, com’è avvenuto proprio con la corona. Nella semiografia musicale si chiama in questo modo un segno che prolunga la durata di una figura oltre il suo effettivo valore, a discrezione dell’interprete.
Non è scontato che il punto sormontato da un piccolo semicircolo prenda il nome di corona. Infatti altrove è detto Fermate (in tedesco), fermata, rest o pause (in inglese), calderón oppure corona o fermata (in spagnolo), point d’orgue (in francese) e ancora fermata o anche suspensão (in portoghese). Ogni cultura ha interpretato quel segno secondo un criterio diverso: giocando o sul suo effetto musicale (fermata) o sull’aspetto grafico-rappresentativo, come è successo con la regale corona in italiano o con il più prosaico calderone in spagnolo.
Invece il francese point d’orgue (punto d’organo) è la traduzione letterale del latino medievale organicus punctus, usato da Francone da Colonia nel suo trattato Ars cantus mensurabilis della seconda metà del Duecento. Questo trattato segnò un momento di svolta nella notazione della musica occidentale, poiché in esso si affermava che la durata delle figure musicali dovesse essere scritta adottando grafie diverse, invece che essere dedotta dal contesto in cui le note stesse si trovavano. Francone chiamò organicus punctus la penultima nota di un tenore che non rispettava più l’incedere della battuta regolare, ma indugiava, fermandosi prima della conclusione.
Due secoli dopo Johannes Tinctoris, che all’epoca lavorava a Napoli, scriveva «un punto… posto in un semicerchio aperto dalla parte inferiore, indica generalmente che si deve fare una fermata sulla nota sopra la quale è posto, e questo punto è comunemente chiamato punto d’organo». Poi, nella Francia del Seicento il point d’orgue prese anche il significato di ‘pedale armonico’, aprendo la strada a equivoci linguistici internazionali. Oggi le cose si sono chiarite anche perché, per esempio, gli inglesi hanno dismesso la locuzione tradotta organ point, preferendo a essa pause o fermata (rest è più americano). Gli italiani e gli spagnoli hanno fugato ogni ambiguità adottando i loro nomi squisitamente descrittivi, dal significato univoco.
Come avviene ordinariamente nella lingua letteraria, il punto sospende il discorso, concedendo una pausa o una fermata alla fine di ogni frase. La semiografia musicale antica era fortemente imparentata con la lingua scritta, ma il punto poteva assumere diversi significati. Qui lo consideriamo soltanto nella sua versione coronata, che impartisce appunto un ordine di deroga temporale alla figura a cui è applicato. Poiché sospende il fluire regolare del tempo, dilatandolo solitamente per fini espressivi, in genere si usa enfaticamente prima di una cadenza, enfatizzando l’attesa. Ma, come nella lingua scritta, quasi sempre è posto alla fine della composizione o al termine di una frase musicale, con qualche eccezione.
Per esempio, nella Sonata per pianoforte op. 111 di Ludwig van… (proprio lui, chi altro sennò?), quando inizia l’allegro con brio ed appassionato, alla misura 20, il compositore appone un’importantissima corona sulla nota Si bequadro, sensibile della tonalità di Do minore. Anche chi non legge la musica può riconoscerla e goderne!
Invece, diciamocelo: un Re che conclude una composizione, da cosa potrebbe essere sormontato, se non da una corona?